Roger Waters – Is this the life we really want, recensione.
E’ davvero questa la vita che vogliamo?
Questa è la domanda che si pone Waters. La risposta noi di Music on Tnt non la conosciamo, ma sicuramente questa è la musica che vogliamo ascoltare!
Ritorna Roger Waters con un album sorprendente, intenso ,ispirato , attuale, cupo, poetico, in pratica un capolavoro.
Sì, a mio avviso un capolavoro, mi assumo la responsabilità morale di definirlo tale.
Come tutti sapete Waters lasciò i Pink Floyd negli anni ottanta, o almeno dopo una battaglia legale non da poco, perse il diritto di usare il nome della band.
Da allora ha continuato il suo percorso musicale sia riproponendo i successi legati ai Pink Floyd, vedi l’ultimo tour mondiale di The Wall, sia pubblicando album di inediti. In tutto questo tempo ha continuato quella che era una sua ossessione, una riflessione sul mondo, sul genere umano e le sue debolezze, e i suoi lati oscuri.
Questa ricerca è iniziata, ad onor del vero, durante il periodo in cui era ancora nei Pink Floyd. Animals, Wish you where here, Dark side of the moon, The Wall e il mai abbastanza apprezzato The final cut sono tutti figli della irrequietezza dell’anima di Waters. Il fatto che egli abbia perso il padre in guerra lo ha spinto ad analizzare il suo dolore, le sue cause e rifletterlo sulla nostra società, sull’animo umano.
Waters ha quasi sposato come un lascito morale il fatto di denunciare e dimostrare che la guerra, e le sue conseguenze sono devastanti per tutti coloro che le subiscono in prima persona, che la violenza porta violenza, senza nessuna speranza di potervi porre fine.
Is this the life we really want è proprio questo. Una disincantata e struggente analisi della società in cui viviamo, nell’album si ascolta la voce di Trump perchè Waters lo vede come fumo negli occhi, un ritorno ai muri, all’isolazionismo, al noi contro tutti.
Questo album non è facile da ascoltare, lo si deve capire per poterlo apprezzare, non fate ascolti mordi e fuggi, ma prendetevi il vostro tempo, leggete i testi delle canzoni e se non capite l’inglese traduceteli. Troverete tanta ispirazione, versi intimi e profondi resi bene dalla voce cupa di Waters.
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Se fossi un drone
Pattugliando cieli stranieri
Con i miei occhi elettronici come guida
E l’elemento sorpresa
Sarei spaventato nel trovare qualcuno in casa
Magari una donna ai forni
Impastando il pane, facendo il riso, o bollendo qualche ossa
Se fossi un drone…
”
Questo è uno dei versi di Deja vu.
Io sono rimasto sbalordito da questa canzone, strana, struggente, in cui per la prima volta ti rendi conto che lo stile della musica di Waters è quello, ma che la struttura dell’album è diversa dal solito, l’orchestra infatti è inaspettatamente presente in molti brani rendendo uno spessore alla musica che si sposa perfettamente con i testi delle canzoni. Deja vu paradossalmente è controproducente, è così profondamente bella che ti lascia a dir poco estasiato, praticamente vale da sola un pellegrinaggio in Inghilterra per omaggiare Waters fin sull’uscio di casa sua!
Se cercate i tipici assoli di chitarra, che pure avrebbero dovuto esserci, rimarrete delusi, Waters è rimasto fedele a sé stesso ma ha sparigliato le carte in tavola. Ci sarebbe dovuta essere una collaborazione di Gilmour ma poi Waters e Nigel Godrich (Radiohead) hanno deciso di cambiare direzione e il piano la fa da padrona in ogni canzone.
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Quando la Seconda Guerra Mondiale finì
Visto che la lavagna non è mai stata completamente pulita
Avremmo potuto raccogliere le ossa rotte
Avremmo potuto esser liberi
Ma abbiamo scelto di aderire all’abbondanza
Abbiamo scelto il Sogno Americano
E tutte le misteriose libertà
Ora le abbiamo abbandonate
Le abbiamo abbandonate
Niente misteriose libertà
Ore le abbandoniamo
”
Questi i versi di Broken bones, altro punto fermo dell’album, altra discesa negli inferi di una società che non impara dai propri errori, ma li ripete, come se stesse giocando alla roulette russa, sempre alla ricerca della pallottola dell’estinzione.
Tra la voce di un odiatissimo Trump e il volo di un uccello in gabbia di Bird in a gale si approda alla dolcissima The most beautiful girl, che assieme a Smell the roses, Wait for her, e Part of me died ci catapultano in una spirale di speranza che non ci saremmo mai aspettati di trovare. Sono tre canzoni ma potrebbero essere l’una la prosecuzione dell’altra, fino alla fine, in cui in Part of me died una fantomatica amante morendo ci lascia portando il peggio di noi con sé, dandoci quindi la possibilità di diventare migliori e quindi di salvarci.
Con questo Album Waters ha involontariamente (?) ripreso le redini della musica dei Pink Floyd pur non potendo usare quel nome. E’ troppo palese l’inutilità delle ultime pagine del gruppo da lui fondato se paragonato al passato, passato dal quale Waters invece pare non essersi mai uscito, producendo capolavori uno dietro l’altro!
Semplicemente imperdibile!