Reveers “To find a place”, recensione
Chi si cela dietro alla pittorica work art di questa nuova release della Music Force? Se volessimo dare importanza alle individualità dovrei scrivere: Elia Amedeo Martina, Fabio Tomada, Giulio Ghirardini e Ismele Marangone. Ma le individualità, pur essenziali, trovano il loro naturale compimento nell’insieme, qui chiamato Reveers, band udinese di recentissima formazione arrivata al debut album grazie alla sinergia tra Toks Records e MF.
L’album, raccontato da otto tracce innestate tra luci ed inevitabili ombre, sembra nascere da un concreto istinto esecutivo, pattern fondante di un sound che posa le proprie radici su di una linea vocale alquanto vintage (Low to the ground). Un’espressività riuscita, su cui si alternano eccessi ed aperture emotive, a tratti prive del giusto spazio per decollare con naturalezza. Nonostante alcuni passaggi perfettibili, le auree nordiche si presentano con toniche cadenzate, poste al servizio di sguardi passatisti (Fortune Teller), in cui il suono viaggia su arrangiamenti minimali in grado di congiungere l’alternative degli anni’90 e l’eleganza di un sound apparentemente ricercato.
L’impostazione gioca poi con facili riff (Thesis, antithesis & Synthesis) e una ricerca chimica ed empatica, proprio come dimostra Mosaico, in cui reminiscenze Thom Yorke sviluppano la narrazione su acute note ridondanti, da cui si esce mediante un calmierante outro, atto anticipatorio degli sguardi electro-coldplayiani di Spheres e i passaggi visionari di Waves from the sky.
A chiudere l’album è infine Blind Alley, gioco sonoro in cui la band si specchia con naturalezza attraverso un approccio che non disdegna l’eleganza lounge, pur mirando a dislivelli alternativi ma piuttosto accessibili.
Tracklist:
Low to the ground
Fortune teller
Thesis, antithesis and synthesis
Music for a silent film
Mosaico
Spheres
Waves from the sky
Blind alley