Retrospettiva Gang Starr

gang.jpg

La longevità non è mai stata la principale caratteristica degli artisti Hip-Hop, in particolar modo dei gruppi i quali, oltre a pagare il prezzo di una musica tendenzialmente fatta da gente sotto i 30 anni hanno anche a che fare con le problematiche più classiche causate da dissensi, litigi, divergenze artistiche, eccetera.

C’è però anche chi della longevità ha potuto fare un vanto tanto da rimanere sulla cresta dell’onda lungo l’arco di una carriera lunga oltre 15 anni con all’attivo sei grandi album e parecchi artisti da loro protetti e lanciati. Si parla dei Gang Starr, probabilmente il “power duo” (rapper + dee-jay) migliore nella storia dell’Hip-Hop, senza nulla togliere ad Eric B. & Rakim.

Purtroppo la prematura morte per cancro del rapper Guru, scomparso il 19 aprile a 43 anni ha dissolto completamente le speranze di un’eventuale riunione col suo storico partner DJ Premier. I due avevano infatti percorso strade separate dopo l’ultimo album “The Ownerz”, uscito nel 2003 e da allora non c’è stata più nessuna uscita che ha visto i due lavorare insieme.

Dispiace che sia finità così ma tutti i fans dell’Hip-Hop manterrano vivo nei ricordi Guru come rapper dalla voce setosa e distinta, elegante e ruvida, capace di esprimere la poetica della strada con stile esaltando al massimo quei beats che hanno reso Premier uno dei produttori più importanti di sempre, e non solo nell’Hip-Hop. I Gang Starr rimarrano un’icona della storia della musica e saranno sempre un marchio indelebile del vero Hip-Hop. Ripercorriamone allora la carriera analizzando i loro album.

L’esordio, quasi in sordina, è datato 1988 , con l’album “No More Mr. Nice Guy”. I due si inserivano nella dorata scena newyorkese dell’epoca, fatta di stile aggressivo sia da un punto di vista verbale che sonoro, con uno stile spiazzante, dettato da beats ipnotici con forti influenze jazzate ed un mc come Guru che puntava più sulla modulazione della voce e sui concetti cerebrali piuttosto che su equilibrismi verbali o rime da battaglia. Un’entrata in scena che manifestava ovvia inesperienza e una personalità ancora in embrione ma dalla quale già si poteva evincere la potenzialità di un duo che sapeva mettersi in luce con pezzi quali “Positivity” e “Manifest” o la strumentale “In Deep Concentration”.

Ma il vero salto di qualità e per certi versi l’esordio vero e proprio di quello che si sarebbe poi affermato come stile Gang Starr risale al 1990 e all’album “Step In The Arena”. Già dalla copertina si deduce come i due abbiano trovato una loro identità più “street” pur senza tralasciare il lato riflessivo e spirituale, visto che sono ritratti in uno sfondo-seppia metropolitano con la prima apparizione del loro logo composto da stella e catena, il cui filosofico significato è spiegato all’interno dell’album, prima nell’intro “Name Tag” e poi nel pezzo finale “The Meaning Of The Name”. In questo album i beats di DJ Premier prendono forma avvicinando lo stile che lo avrebbe contraddistinto per il resto della carriera. Arrivano quindi i primi campionamenti durante gli stacchi tra un verso ed un altro, diventano più massicci gli scratch e soprattutto la costruzione delle basi si affida principalmente alla batteria e a minimali aggiunte di basso, chitarra, archi o tastiera. Guru dal canto suo sembra avere il triplo della fiducia nei suoi mezzi rispetto all’album precedente e i suoi versi sono precisi ed incisivi. L’album non ha passi falsi e su tutte le tracce si ricordano l’esplosiva “Just To Get A Rep”, la precisa “Who’s Gonna Take The Weight” e perle liriche come “Execution Of A Chump” e “Take A Rest”.

“Step In The Arena” catapulta i Gang Starr nell’universo stellato dell’Hip-Hop della Grande Mela (e quindi del mondo) e da questo momento in poi la loro posizione non sarà mai in discussione. Il duo viene anche reclutato da Spike Lee per partecipare alla colonna sonora di “Mo Better Blues”, alla quale contribuiscono con “Jazz Thang”, un magistrale tributo al mondo del jazz. Rispettati da tutti ed ormai con un nome, i Gang Starr fondano la “Gang Starr Foundation”, una crew ufficiale che include nuovi artisti le cui carriere saranno guidate da Premier e Guru. Tra questi Jeru The Damaja e Group Home, nomi che acquisiranno una loro importanza individuale di lì a poco ma che hanno esordito come ospiti nel terzo album dei Gang Starr, dal titolo “Daily Operation”, uscito nel 1992. L’album rafforza la solidità del duo ed è probabilmente il loro lavoro più notturno e raffinato, con molti testi che affrontano temi sociali abbinati a beats scarni e diretti. Guru sforna liriche di lusso in pezzi quali “No Shame In My Game”, “Conspiracy” e “Soliloquy Of Chaos” ed accarezza gioielli di Premier con la sua voce monotonica in “Take It Personal” e “2Deep”. “I’m The Man” con Jeru e Lil’ Dap mette in luce tutto il talento di Premier che dona ad ogni protagonista un beat ad-hoc rendendola una delle posse-cut più importanti di sempre. E’ un album completo, maturo, nettamente underground, assoluto manifesto di un gruppo straordinario.

A questo punto i Gang Starr sono una sicurezza, ogni progetto legato al loro nome è garanzia di qualità e di distanza assoluta dalla commercializzazione del suono. Escono i magnifici esordi di Jeru e Group Home, Premier è già un nome di punta nel mondo della produzione ed a lui si cominciano ad affidare parecchi artisti, Guru intraprende un progetto individuale che coniuga Hip-Hop e jazz dal titolo “Jazzmatazz” grazie al quale collabora con importanti jazzisti internazionali (Donald Byrd, Herbie Hancock, Bob James, Lonnie Liston Smith e molti altri), arrivano tour mondiali e riconoscimenti, tutto ciò senza mai cedere alle pressioni dell’industria. Ma la loro attività come duo non si interrompe nemmeno in studio e due anni dopo ( 1994 ) esce “Hard To Earn”, quarto album che se possibile appesantisce ancor di più il suono. Questo è infatti il loro lavoro più duro, sia livello di suoni che di argomenti, contraddistinto da una certa ruvidità d’approccio e da esplosioni soniche come a voler far sentire la loro presenza a chi non se ne fosse accorto. Premier ha ormai definitivamente affinato il suo stile ed il suo sound è ormai inconfondibile, ipnotico, paradigmatico per definire l’Hip-Hop e Guru ha raggiunto una sicurezza tale che lo porta ad affrontare in maniera diretta i suoi concorrenti al microfono con versi infiammati. Gli esempi sono classici come “Mass Appeal” o “Suckas Need Bodyguards” ma ci sono anche altre gemme che toccano diversi temi come la dedica a Brooklyn “The Planet” o le sociali “Tonz O Gunz” e “Code Of The Streets”. Un album che ha evidenziato il fatto che la strada intrapresa dai Gang Starr non voleva avere deviazioni verso il commerciale ma piuttosto rimanere buia e ruvida.

La seconda metà degli anni 90 vede Premier sempre più ricercato da artisti esterni e le sue collaborazioni con grandi nomi quali Nas, Notorious B.I.G. o Jay-Z portano nei loro album indirizzati al grande pubblico preziose parentesi di Hip-Hop duro e crudo. Guru nel frattempo continua la sua serie di Jazzmatazz allargando il roster di artisti coinvolti fino a toccare rappresentanti del soul classico e contemporaneo quali Chaka Khan e Jamiroquai. E’ anche per questo che passano ben quattro anno prima che i due diano luce ad un nuovo lavoro come Gang Starr ma i risultati ottenuti dimostrano che il progetto non è stato per nulla trascurato. “Moment Of Truth” è la summa del sound del gruppo, che arriva in forma strabiliante. Guru scrive probabilmente le sue migliori rime di sempre mentre Premier lascia in serbo per questo album produzioni di livello stellare, trovando il perfetto equilibrio tra influenze jazz, campionamenti vocali e il tappeto di street sound che fa da comun denominatore alle sue creazioni. “You Know My Steez” è il singolo dell’anno nel 94 e fa da traino a una serie di capolavori quali “Above The Clouds”, “The Militia”, “New York Strait Talk” e “The Rep Grows Bigga”. Si amplia la pagina degli ospiti, a partire da quelli “di famiglia” come Krumb Snatcha, Freddie Foxxx e Hannibal Stax a quelli illustri come Inspectah Deck e persino Scarface. L’album affronta temi street ma anche sociali e di riflessione personale e nonostante abbia ben 20 pezzi non perde mai un colpo e si fa riascoltare dall’inizio alla fine per sempre nel tempo ed è indiscutibilmente uno dei migliori tre album del suo anno e con molta possibilità entra nella top-ten dei dischi Hip-Hop di sempre.

Dopo “Moment Of Truth” l’Hip-Hop ha cominciato a prendere una strada negativa fatta di contaminazioni di scontato pop o del peggior R&B che lo hanno decisamente allontanato dalla sua natura. In un momento di totale sbando culturale, 5 anni dopo l’ultimo lavoro i Gang Starr fanno quello che sembra essere un ritorno per salvare il salvabile e lo fanno con il loro stile, addirittura forse estremizzandolo ancora di più. Nasce così “The Ownerz”, ultimo capitolo della loro saga, un concentrato di beats e rime senza fronzoli e senza sconvolgimenti, con Premier che continua a sfornare basi di incredibile consistenza e Guru che mantiene alta l’asticella del livello lirico. “Put Up Or Shut Up”, “Rite Where You Stand”, “Skillz” e “Riot Akt” entrano di diritto a far parte dell’infinita collezione di classici messa insieme dal duo tessendo le tela di un altro lavoro privo di punti deboli.

Dopo “The Ownerz” Premier è rimasto stabilmente ai vertici della produzione Hip-Hop (e non solo) ed ha anche inaugurato la sua etichetta “Year Round” mentre Guru ha continuato a comporre versi pubblicando anche due sottovalutati album solisti. La sua prematura dipartita ci priva di una leggenda della storia della musica e di un soldato dell’Hip-Hop che lungo tutta la sua lunga carriera ha saputo mantenere esemplare integrità artistica senza mai compromettere la qualità ed utilizzando sempre al meglio la sua inconfondibile voce ed il suo talento. Ci mancherà ma le sue canzoni lo faranno rimanere per sempre una parte delle nostre vite.