Rein – Occidente, recensione
Occidente è il secondo lavoro pubblicato dai Rein con licenza CC, datato 2008. E’ scaricabile legalmente e gratuitamente da www.jamendo.com sotto forma di mp3, oppure è possibile acquistare i CD direttamente sul sito dei Rein.
Dopo Est!, EP pubblicato l’anno prima e dal quale riprendono due pezzi splendidi (“Est” e “I tram di Roma), i Rein parlano dell’Italia e dell’Europa occidentale, presentate attraverso contraddizioni e piccole e grandi tragedie.
L’album è ricchissimo di suggestioni, anche perché offre ben 19 canzoni, alcune delle quali sono composizioni complesse, molto articolate e che presentano diversi piani di lettura. Altre, al contrario, sono poco più che bozzetti, semplici, dirette e immediate.
Il giudizio sintetico sull’albume è semplice: Occidente riconferma i Rein come una delle migliori formazioni attualmente attive in Italia.
Tra i pezzi che non si dimenticano “Il deserto di Piero”, “Est”, “Genova”, “Canzone dell’Irlanda Occidentale”, “Sud America”, “Discorsi a vapore”, “I tram di Roma”.
Tra queste, “Il deserto di Piero” e “Genova” sono due brani che da soli valgono una carriera.
“Occidente” apre l’album. Canzone ritmata, tesa, veloce, costituisce la presentazione dell’album, sia dal punto di vista delle tematiche trattate che del taglio poetico adottato.
Segue “Sud”: c’erano una volta gli italiani che dovevano emigrare, italiani stranieri in mezzo ad altri italiani. Italiani figli di un sud rurale e povero. Italiani con un nome, una storia, costretti ad andarsene da casa in cerca di un’opportunità, di una vita nuova pagata al prezzo della propria identità.
Si rimane al meridione con 150 sprint veloce, canzone di viaggio che parla del distacco interiore di chi se n’è andato, della disillusione di chi era partito col proprio amore e la propria terra e nel cuore.
Il quarto brano è “Il deserto di Piero”, uno dei pezzi più belli, struggenti e articolati dell’intero album. Una canzone ricca di immagini, di cuore e di significato, che dimostra una maturità artistica di livello pari ai “grandi” della musica italiana d’autore.
Meno notevole, “La canzone di Diana” è una storia veloce e intima, che precede “Est”, pezzo bellissimo, già presente nell’omonimo album del 2007, che si riconferma una delle canzoni più belle dei Rein. “4 e mezza” viene subito dopo ed è un lento discorso, appena velato dalla tristezza di certe suggestioni irlandesi, che ben si raccorda a “Settembre”, intrisa di nostalgia e di ricordi.
Nostalgia e ricordi che permeano anche “Il ponte di Mostar”, dedicato alla tragedia immane del conflitto bosniaco. Si passa così dal livello personale a quello sociale, ripreso con forza da “Genova”, canzone spietata, lunga e articolata, dedicata ai fatti del G8 2001. Un pezzo di denuncia sociale lucido e schietto, che non rinuncia a proporre un punto di vista originale su una delle pagine più buie e controverse della Repubblica Italiana. Un pezzo cupo, devastante, evocativo, che parla direttamente alla coscienza di chi ascolta. Un capolavoro.
Si torna al sud Italia con “Grandtour”, pezzo non facile, che mette in rapporto il singolo con una terra difficile, che pur tuttavia entra nel cuore e ci rimane.
Del dialogo tra terra e persone parla anche “Canzone dell’Irlanda Occidentale”, in forma decisamente più lirica e strutturata. Basta un viaggio, uno solo. Da Dingle, a Galway, a Sligo. Basta un viaggio, per innamorarsi perdutamente di quell’Irlanda lontana da Dublino, lontana da tutto. Basta un viaggio per serbare immagini indelebili, ricordi fatti di panorami, di colori, di vento, di odori e di persone incontrate sul cammino. Ecco l’essenza di questo pezzo, che parla al cuore di chi ha visto e può capire.
Dall’Irlanda a Parigi con “Boulevard Montvert”, tranche de vie evocativo, costruito su atmosfere fatte di cielo grigio e foglie secche. Una fotografia, un altro spaccato di mondo che lascia il posto a “Verso San Paolo”, canzone triste, concreta, che parla di disillusione e di inevitabili ritorni e introduce le atmosfere sudamericane che accolgono “Sud America”, canzone superba, asciutta, lucida e tagliente come una mannaia, che parla dritta alla coscienza nera dell’occidente.
Si torna su un livello molto personale con “Discorsi a vapore”, una delicata e struggente storia d’amore, cantata a due voci senza compiacimento e senza fronzoli melensi, srotolata tra Roma e una Parigi multiculturale. Una canzone che parla di scelte di vita, con la dolcezza di chi non ne dimentica il peso e che riporta il filo del discorso nella città eterna, palcoscenico di “I tram di Roma”, pezzo già presente nell’album “Est!” che si riconferma uno dei migliori dei Rein.
Si rimane su un piano molto intimo con “Il ventesimo giorno” e “Il ricordo delle tue mani”, che parlano di amori passati e lontani, ricordi non ancora sfumati, emozioni ancora vive.
Chiude l’album “L’epilogo”, ideale chiusura che ne riassume il taglio narrativo.
In definitiva, Occidente è un lavoro che parla sia di fatti che di persone, legandoli sia da un punto narrativo che emotivo. Persone che vivono la storia e la creano e che, facendone parte, la introiettano. Occidente intreccia il piano personale e quello sociale in un equilibrio teso e lucido: non è di certo un album che parla solamente di ciò che alberga all’interno delle persone, ma non è neppure solo una pura denuncia sociale. Entrambi gli aspetti sono presenti, ma nessuno prevarica e, a seconda della disposizione d’animo di chi ascolta, Occidente è in grado volta per volta di toccare corde interiori assai diverse.
Un album da avere.
Giulio Focardi