Recensione di VIRUS (P.Agosta) a cura di Ross Maya per Music-onTnt
«VIRUS è un Concept Album, concepito e scritto dal cantau-tore Paolo Agosta tra il 2005 e il 2010.
Parla di esperienze legate a rapporti sentimentali vissuti nei cinque anni e ne analizza quelli che sono gli aspetti più crudi
e reali.
All’interno vi sono anche riflessioni sulla vita dell’uomo e sulla sua condizione fatta di limiti e difficoltà.»
Mettiamo subito le cose in chiaro. L’album di Paolo Agosta è uno di quelli che va ascoltato più volte prima di poterlo ap-prezzare nella sua complessità. Tuttavia non sarebbe un’eresia dire che da un compositore così talentuoso ci si possa aspettare sempre di più.
Nel totale l’arrangiamento è molto dettagliato e apprezzabile, ma alcuni brani risultano poco originali, privi di spunti giudi-cabili.
Il cd si apre con il brano che dà il nome all’album e il cui in-tro riporta influenze rock elettroniche, alla “Megalomaniac” degli Incubus per intenderci, con una batteria piuttosto punk.
Segue “Casa mia” brano dalle sonorità più jazz; un intro soft fa da apripista a un brano prevalentemente malinconico il cui te-sto porta la mente a viaggiare.
Il terzo brano ha un bel riff di chitarra, anche se molto liga-buiano, dove ci si può scatenare un po’. Il ritornello facilmente memorizzabile tende al pop velvettiano. Nel complesso il sound rock risulta apprezzabile, facendo di “Leggero” una bal-lata molto radiofonica.
“Piove sopra Milano” sebbene al prima ascolto può sembrare un classico brano pop come se ne sentono spesso in radio, in realtà nasconde sentimenti profondi di tristezza e malinconia dove, grazie anche al bel giro di basso, ci si può identificare fa-cilmente.
In “Sahara” entra per la prima volta il pianoforte. Il pezzo è o-riginale nella composizione e nella struttura ed è anche abba-stanza fruibile. Il ritornello segue la scia di nuove band, come i 30second to Mars o del nuovissimo singolo dei Bon Jovi. Io lo vedo come potenziale singolo bandiera dell’album.
“Fuori piove” è una ballata triste in stile Negramaro. Tuttavia non rende appieno per l’assenza dell’effervescenza vocale tipi-ca di Giuliano Sangiorgi che, non me ne voglia, Paolo non ha.
Il settimo brano spicca per la voluminosa chitarra. “Pezzi di ve-tro”, questo il titolo, conferma l’originalità dei testi, mai scon-tati e banali. L’arrangiamento pop-rock europeo dà spessore all’architettura semplice ma efficace.
“Mantide” e “Niente” scorrono via fin troppo facilmente. A-scoltarli è una delizia per i cultori della buona musica. Sono brani in cui esce fuori tutto lo spessore dell’Agosta musicista in cui la tecnica musicale la fa da padrona e i riff egregi si susse-guono l’uno dopo l’altro.
“Ami” è una bella canzone d’amore con sonorità miste, un po’ alla Elton John di “Song for guy” e agli U2 dell’ultimo decen-nio.
“Riparto da me”, undicesima e ultima traccia, non delude mo-strando la solita chitarra dagli arpeggi fluidi e morbidi e riff che sembrano abbracciarsi dolcemente.
Trovo l’album un lavoro maturo che però auspico possa esse-re seguito da un epilogo. Sì, perché “Virus” è un qualcosa di studiato, di profondo ma che lascia un senso di incompletezza, non saprei se voluta, cercata o solo casuale.
«È un disco Rock-Pop di canzoni vere, sincere, scritte ed ar-rangiate con gusto e passione.
È la giusta continuazione di quella tradizione Rock-Pop di stampo Anglo-Americano anni ’70, che ha ritrovato luce nei ’90 e massimo splendore nell’ultimo decennio.»
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