recensione dell’album Angel Song diKenny Wheeler, Lee Konitz, Dave Holland, Bill Frisell .
Scrivere di questo album, ormai di diversi anni fa, è un modo per sottolinearne l’importanza nella discografia dell’ultimo decennio.
Certo non si tratta di un opera che segna uno snodo nell’articolatissimo groviglio del jazz contemporaneo, ma è un opera cosi’ compiuta che possiamo ritagliarle un posto nelle incisioni di riferimento.
Cominciamo dall’etichetta, la ECM, oggetto di amore-odio da parte dei jazzofili, che ne contestano la produzione a volte “patinata” o “artificiosa”, ma che riesce a riunire con i suoi progetti la gran parte delle ”star” (capofila storico dell’etichetta è Mr. Keith Jarret) e dei musicisti emergenti più interessanti del panorama mondiale. Non si può negare che questo disco “suoni ECM”, ma in questo caso il progetto che ne è alla base risulta straordinariamente riuscito.
Cominciamo dai protagonisti: si tratta di un quartetto di grandissimi musicisti che rappresentano diverse generazioni della storia del jazz: Lee Konitz, di cui in questi giorni ricorre l’ottantesimo compleanno (celebrato in piena attività), ha contribuito fortemente, col suo maestro Tristano, all’embrione del cool; Dave Holland invece, è stato parte delle sessions della svolta rock-fusion di Miles Davis; Bill Frisell è di quella “schiatta” di musicisti che negli anni ’90 hanno immesso nuova linfa al jazz su territorio americano; ed infine Kenny Wheeler, un musicista di riferimento oltre che per il suono del suo flicorno anche per le sue qualità compositive.
E’ appunto esclusivamente dalle composizioni di quest’ultimo che i quattro partono per questo viaggio, e quindi il cd sarebbe da ascrivere al musicista canadese, anche perché gli altri si immergono totalmente nelle tipiche atmosfere e soprattutto nelle linee melodiche di Wheeler, tanto da farci credere che le suonino da sempre.
Un’altra forte caratteristica di questo lavoro è l’assenza di parte della ritmica (piano-batteria) che contribuisce a farci inoltrare nell’intimo di queste composizioni ma, soprattutto, a creare uno stile cameristico in cui le voci strumentali si rincorrono senza quasi mai sovrapporsi pur non perdendo mai un forte impulso ritmico, e questo lo si deve soprattutto al superbo lavoro di Dave Holland.
Quanto alla profondità armonica, ci pensa Bill Frisell, che con i suoi accordi e le sue frasi arpeggiate contribuisce a rendere il tutto quasi sospeso e straniante: questa peraltro è la sua grossa impronta stilistica.
Lee Konitz e Kenny Wheeler alternano assoli esemplari per concentrazione e tensione emotiva, Lee in particolare sembra in uno stato di grazia che gli permette di esprimersi in totale scioltezza, ascoltate come anche il suo timbro sia estremamente espressivo: che sassofonista!
Non starei a soffermarmi sui brani in particolare, sembrano tutti fare parte di una lunga “meditazione melodica” che serve da base a ciascun musicista per improvvisare senza mai essere inutilmente torrenziale, ma restando in una sorta di raccoglimento estatico.
Credo quindi che questo album vada inserito nello scaffale dei cd da ascoltare periodicamente, per non perdere il senso dell’orientamento, immersi come siamo da contaminazioni e manierismi esasperati.