Ray LaMontagne and the Pariah Dogs – God Willin’ & The Creek Don’t Rise. recensione.
La voce di Ray Lamontagne è come il fuoco di un caminetto. Poche parole cantate, anche solo un suo sospiro, e l’ambiente dove lo stiamo ascoltando si scalda immediatamente, fino quasi a sudare.
Dal suo primo album – “Trouble” del 2004 – fino ad oggi la carriera di questo cantautore americano, originario del New England, è stata un continuo crescendo, così che non c’è da stupirsi più di tanto nello scoprire che proprio il disco che stiamo recensendo ha esordito direttamente al 3° posto della classifica americana. E, a dire il vero, dopo averlo ascoltato e riascoltato possiamo serenamente ammettere che tale entusiasmo del pubblico d’oltre oceano è più che giustificato.
Intanto, per registrarlo il nostro Ray si è chiuso in una mega casa, appositamente acquistata per l’occasione, insieme a una nuova band di tutto rispetto (i “Pariah Dogs”) con la quale ha stabilito un feeling magico e palpabile sin dalla prima, ipnotica, “Repo Man”. Il pezzo rappresenta una vera e propria novità, sia per ritmo (uptempo) che per stile (rock blues elettrico) rispetto alla sua produzione precedente ma resterà, ad ogni modo, un caso isolato nell’economia dell’intero album.
Ciò che segue, infatti, suonerà di volta in volta decisamente più intimo, o radiofonicamente più accattivante.
Fra le canzoni appartenenti al primo genere non si può non citare “New York City’s killing me”, ballata struggente dalla quale emerge il desiderio di fuggire dalla Grande Mela per raggiungere lidi meno nevrotici e soprattutto l’amore che lo attende. Sinuosa e malinconica, invece, la semi-bossa (ma in stile decisamente Nashville) di “This love is over”, didascalicamente dedicata alla fine di un rapporto sentimentale.
Venendo invece alle melodie più orecchiabili (che nel caso di specie non significa mai “sell out”) in prima fila troviamo certamente il singolo apripista “Beg steal or borrow” (midtempo in cui è ben sintetizzato lo stile “Lamontagniano”), la melodica “Old before your time” (verosimilmente riferita alla sua precoce maturazione dopo l’abbandono paterno, sin da bambino) e la freschissima “For the summer”(country, con tanto di steel guitar a cesellarne le sinuose curve) che giustifica, in parte, l’uscita del disco in pieno agosto.
Capitolo a sé, infine, l’autarchica (solo voce, chitarra acustica e soprattutto armonica) e Dylanesca “Like Rock and Roll and the radio”, che lascia il segno per bellezza ed intensità.
Riassumendo: invitiamo tutti coloro che non conoscono ancora Lamontagne a colmare il gap col passato (magari cominciando dall’affascinante 3° disco, “Gossip in the grain”) qualora dall’ascolto di questo “God’s willin’…” risultassero piacevolmente estasiati, come chi vi scrive. Per chi invece ha già imparato a riscaldarsi (…acusticamente) il cuore presso il sopra citato focolare, non abbia timore e continui pure a seguirlo in questa nuova ed affascinate avventura discografica.