Rainbow Bridge “Lama”, recensione
Cover Art perfettibile, indicativa… ma perfettibile. Infatti, semplicemente osservando l’uso di font e colori, oltreché i soggetti in overlay, il richiamo a psycho e desert rock appare palese, ma non sviluppato al meglio.
Si chiamano Rainbow Bridge, ed hanno confuso probabilmente copertina con back cover, ma non hanno di certo tradito le mie aspettative: mi avevano convinto con il loro Dirty Sunday e oggi, mi hanno convinto ancora.
Poco dopo un anno trascorso dal precedente lavoro, il trio stoner torna con sei tracce ricche di visionari colori espressivi, in cui i rimandi “sabatthiani” incontrano estensioni evocative ( Lama), per poi invitarci, passo dopo passo, verso un blues sporco, grezzo e granulare, immerso in distorsioni, minimalismi e ritratti sonori piacevolmente vintage. La voce pulita di Giuseppe Piazzolla divide gli spazi di The storm is over con le toniche battenti e reiterate di un riffing ben strutturato, posto al servizio di un album, ricco di riuscite sfumature. L’opera appare, sin dalle prime battute, pronta a giocare con le “parole”, ma soprattutto con i suoni, come dimostra Day after Day, che, con la sua lunga durata, offre sin dal primo ascolto un eterea struttura narrativa, in grado di unire emozioni divergenti, dai rimandi proto-grunge, utili nel delineare un sentiero armonico e distorto.
L’album va poi a compiersi con la durata bonsai dell’imponente e istintiva Slit Jam e con la derivativa No more i’ll be back, in cui le polveri di un lontano Ovest giocano con la tradizione ed un groove inatteso.
Un disco, dunque, in cui entrare a testa bassa e ad occhi chiusi.