Radical Face “The Family Tree: The Branches”, recensione

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In una piccola cittadina della Florida, chiamata Jacksonville Beach, qualche decennio addietro ha trovato i propri natali Mr. Ben Cooper, tecnico polistrumentista che da sempre ha fatto della musica la sua ragion d’essere. Proprio grazie all’intenso amore per le sonorità alternative è giunto tra i meandri della metodologia espressiva di Iron Orchestra e Mother’s Basement, per poi giungere, agli inizi del nuovo millennio, nel mondo indie folk dei Radical Face.

Dopo poco più di due anni da l’uscita di The family tree: the roots, grazie alla promozione sempre più qualitativa della Ja.La Media Activities, siamo qui oggi a parlare del secondo capitolo della trilogia familiare, iniziata nella finzione dell’800. La storia, legata ad un immaginifico inevitabilmente alterato dalla soggettività autoriale, si materializza attraverso i nuovi 12 rami della discendenza.
La genealogia narrativa, raccontata dalla calda voce dell’autore, si va ad impreziosire di spigoli espressivi, che portano con sé le abilità poetiche e definitorie delle saghe romanzate da John Irvine.

Questo nuovo The family tree: the branches, a differenza della struttura classicamente narrativa delle Radici, sembra voler dare uno spazio descrittivo vicino ad una modalità di racconto dialogato, talvolta intimista ed interiore, altre volte interpersonale. L’assoluta creanza di stampo lo-fi sembra emergere in maniera artificiosa, ma necessaria, proprio dal brevissimo incipit Gray Skies , in cui l’acustica informale ci invita tra le note della splendida Holy Branches , traccia in cui il dialogo posato della sei corde con i soffici tasti bianco neri definisce una dimensione interpretativa delle note battute sul pianoforte in The mute , ispirato al mondo ovattato dell’autismo. La struttura chiave della traccia sembra riportare alla memoria alcuni passaggi docili di Garden State, per poi svilupparsi emotivamente sulle corde di Reminders prima e The crooked kind poi, definendo con la sua deliziosa armonia finale uno stile Fanfarlo impostato sulla partitura di Summer Skeletons. Cooper appare abile a diluire le sensazioni folk indie per ritrovarsi all’interno di aurore sognanti ( From the Mouth of an Injured Head ), in grado di sviluppare armonie sonore delicate ( The Crooked Kind ), mescolare a verismo e finzione, proprio come accade in Letters Home .

Il disco sembra voler rappresentare un accorto sentiero indie, dal quale le polveri in clapping hands si rimestano ad interludi sonori in grado di astrarre l’ascoltatore ad una realtà parallela che, come dimostra Southern Snow , non può prescindere dal classico cantautorato d’oltreoceano.

Un album intenso e seducente che, pur perdendo parzialmente la sua forza espositiva verso il finale, rappresenta un opera imprescindibile per chi ama le sonorità indie folk. Pertanto, se nel vostro sentiero alternativo ancora non avete incontrato Mr.Cooper…non perdete tempo, ve ne infatuerete.

Track listing

1. ” Gray Skies ” – 0:43
2. “Holy Branches” – 3:37
3. “The Mute” – 3:56
4. “Reminders” – 3:33
5. “Summer Skeletons” – 4:50
6. “The Crooked Kind” – 4:39
7. “Chains” – 2:11
8. “Letters Home” – 4:11
9. “From the Mouth of an Injured Head” – 4:04
10. “Southern Snow” – 3:21
11. “The Gilded Hand” – 6:14
12. “We All Go the Same” – 3:30