Rachele Colombo e Miranda Cortes – ‘ndar
Ce n’è tanta, di world music. Troppa, secondo qualcuno. Allora diventa importante, tanta o troppa che sia (tanta sicuramente) farla genuina, ché in quest’ambito più che altrove non è tanto il genio assoluto che si chiede a chi pesca tra le radici, quanto piuttosto la capacità di non replicare ed arricchire invece con l’oggi il racconto di cose state e, magari, rimaste, perché col presente durino oltre.
Chitarra, fisarmonica, strumenti acustici, recitato e melodie, poesia e dialetti, storie personali e di luoghi dentro le storie. E’ un album che scorre senza fatiche e di cui vale la pena di raccontare piccoli difettucci in modo da poter poi toglierseli di torno per ascoltare più lisci. Ci sono alcune discontinuità qui e lì quando qualche insenatura intellettuale raffredda un po’ le atmosfere, in passaggi un po’ involuti nei versi o in arrangiamenti e scelte produttive che danno stanze cantautorali già sentite o voci confuse tra i suoni a nascondere un po’ i racconti.
Ed è un peccato quando il contenuto c’è, perché anche la forma tiene assieme un album, gli dà corpo e struttura e lo fa durare.
Questi però erano i difetti, dicevamo, e avendoli ora sistemati a scaffale possiamo goderci il resto, perché qui c’è un lavoro sincero di terra e strade, musiche e parole che son viaggi e che sarebbe bello in viaggio incontrare, in una piazza di festa e gente. Tra cenni di secoli addietro e melodie che arrivano fino a ieri c’è tanta energia, con la fisarmonica che spesso ha spinta da motore ritmico oltre che traino emotivo e la chitarra che è telaio. Suoni belli in cui molti potranno incrociare un proprio vissuto o vivere un personale film ad occhi aperti e chiusi. E poi Rachele Colombo ha un timbro bello, pulito, limpido, liquido e nitido ma non algido.
Brave. Evviva il far musica con le mani e l’anima.