Quintorigo – Rospo
Personalmente non ho mai amato il Festival di Sanremo.
O almeno, sono sempre rimasto indifferente (A torto? A ragione?) di fronte a questa carovana piena di cantanti che si risvegliano magicamente intorno a Gennaio-Febbraio di ogni anno e partecipano al Festival della Canzone Italiana. L’impostazione filosofica del festival dovrebbe essere una vetrina che mette in mostra il meglio di quanto cantato in Italia.
E invece…
La cosa più stucchevole di tutte, per non parlare dell’insulsa cornice di gossip che accompagna l’evento, è rappresentata dal fatto che molti artisti, più o meno coscientemente, decidano di preparare la canzone “per Sanremo”…
Come dire: “Va bene, la maggior parte del pubblico ha un’età media abbastanza alta, già c’è l’orchestra e siamo a metà dell’opera, mettiamo su una melodia facile facile, rima baciata e guardiamo se riusciamo a vendere qualcosa…”
Questa è la mia interpretazione personale, ma non credo di essere solo.
Nel 1999, complice probabilmente qualche insolazione o qualche illuminazione sulla strada di Damasco, la direzione artistica del Festival (regia di Paolo Beldì e condotto da Fabio Fazio… chissà se il Pippo nazionale avrebbe fatto lo stesso?) fa partecipare alla rassegna canora i Quintorigo, che si presentano con Rospo. Destino vuole che quell’anno il sottoscritto, in una sorta di catarsi improvvisa, si imponga di seguire l’intero evento.
Apriti cielo! Finalmente qualcosa che non sa di omogeneizzato! Mi metto subito a caccia del disco e, una volta acquistato, procedo all’ascolto.
La formazione è assai bizzarra: tre archi, un sax e una voce, la batteria non è prevista nella maggior parte dei brani ma non se ne avverte la mancanza; tecnicamente il livello è veramente alto, e probabilmente il primo ascolto può lasciare perplessi. La follia (artistica) che pervade il tutto è una chiave di lettura per tentare di decifrare il mondo dei Quintorigo, sempre in bilico tra la citazione colta e lo sberleffo.
La voce di John De Leo (separatosi dal gruppo nel 2005) è il vero strumento aggiunto, usata in tutti i modi possibili, anche se, a dire il vero, paga pegno nei confronti del compianto Demetrio Stratos degli Area.
Nel brano Deux heures de soleil De Leo canta attraverso un distorsore, e l’effetto è oltremodo efficace, dal momento che si canta del contrasto tra “fitti boschi, praterie” con la voce pulita e “bruschi muri, raffinerie” con la voce distorta.
Mirabile anche la nonchalance con cui il Nostro passa dalla voce piena al falsetto in Nero vivo, vero banco di prova, a parere di chi scrive, per qualsiasi aspirante cantante. I quattro strumentisti, dal canto loro, sono ugualmente “fuori” per tenere testa a De Leo, con arrangiamenti raffinati e uscite soliste rare ma efficaci (bellissimo il solo di sax in Tradimento).
A proposito dei testi, infine, è divertente, tornando a Sanremo, notare come i Quintorigo si siano tolti pure lo sfizio di mettere alla berlina (coincidenza?) l’evento che li stava ospitando: “superficialità – mediocrità – successo”, “moralità – formalità – già dato” “ipocrisia televisiva – conati”.
Grandi Quintorigo!