Quintorigo – English garden, recensione.
L’anno 2011 avrà il pregio di essere ricordato dai fan dei Quintorigo come l’anno di un sorprendente ritorno rock, la riprova lampante è “English Garden”, ultimo nato della band romagnola, uscito il 25 Gennaio e anticipato, oltre che dal singolo “Teardrops”, anche da uno strepitoso live al TPO di Bologna.
Undici tracce paragonabili a undici sculture sonore, dai tratti marcati e dalle forme decise, plasmate da sapienti arrangiamenti, dalle quali affiora il desiderio dirompente di tornare a fare rock in tutte le sue declinazioni, di esplorare nuovi spazi, di esprimersi attraverso i chiaroscuri e i contrasti di un genere che non conosce limiti, non per loro.
“English Garden” è ascoltabilissimo e piacevole, meno cerebrale e più sanguigno rispetto ai precedenti, con diverse novità: un vocalist dal tratto internazionale, testi completamente in inglese e un’ospite di rilievo – la Juliette Lewis ex front woman dei Licks, a conferma del fatto che i Quintorigo non si accontentano più di un mercato nazionale addormentato, ma guardano molto più lontano.
L’esperienza con Luisa Cottifogli è accantonata, il rodaggio con Luca Sapio è brillantemente completato, l’evoluzione si compie e l’energia si dispiega in questo “Giardino Inglese” che soddisfa finalmente il desiderio latente degli appassionati: dei nuovi Quintorigo, propositivi e carichi di una vitalità graffiante, che non tradissero gli autentici Quintorigo dell’era di Rospo-Grigio-In Cattività e il loro inimitabile progetto.
Così il violino e il violoncello dei fratelli Andrea e Gionata Costa, il contrabbasso di Stefano Ricci e il sassofono di Valentino Bianchi conducono con la consueta eleganza la voce calda, screziata e intensa di Luca Sapio, dal profondo blues fino alle sonorità del punk e dell’hard rock, e il risultato è quanto mai entusiasmante.
Si parte con ENGLISH GARDEN, dall’aria gaia e un po’ svampita che, con ritmo spensierato, sottolineato da un sassofono irriverente e dall’ironia del testo, trasporta verso atmosfere da circo felliniano, in un crescendo quasi delirante.
In THE FAULT LINE si cambia drammaticamente registro, i toni si fanno improvvisamente seri, lucidi, gli archi si inabissano nei meandri profondi dell’animo, il canto è intenso e amaro, la strumentazione classica dà prova di tutta la forza espressiva di cui è capace.
Se TEARDROPS apparentemente ritrova lo spirito del primo brano grazie al ritmo leggero, quasi alla Coffee&TV dei Blur, smentito poi dal tema tutt’altro che frivolo – si sa che il contrasto è un lavoro da Quintorigo – HOW DOES IT FEEL? inaugura la parte più rock dell’album sfidando power chords, effetti e distorsioni. In primo piano la voce suadente e mutevole di Juliette Lewis si alterna a Luca Sapio in uno sfondo immaginario, il ritmo incalzante è sostenuto dal contrabbasso di Ricci che, com’è ormai prassi, si fa carico di tutta la sezione ritmica – batteria inclusa.
THE PLACE THEY CLAIMED si apre alla Sex Pistols, il testo critico e disilluso graffia, Luca Sapio mostra la sua versatilità di interprete, mentre in SOMEWHERE ELSE la contrapposizione tra tensione e distensione, tra distorsione e nitidezza di suoni e voce rievoca Deux Heures de Soleil, solo che qui il delirio stridente e la violenza hanno la meglio.
SHEPHERD OF THE SHEEP è puro hard rock alla Deep Purple, già magnificamente rivisitati dai Quintorigo con Highway Star, pietra miliare di ogni live. Anche qui gli archi sembrano potenti chitarre distorte, il violino si infuoca in un assolo indiavolato, con l’urlo finale non manca praticamente nulla.
CANDY MAN – uno dei pezzi più carichi dell’album – fa omaggio a Jimi Hendrix e ancora una volta meraviglia per le soluzioni compositive geniali, ricche, mai scontate anzi studiate in ogni minimo dettaglio. Il ritmo è trascinante, la voce potente, le linee di sassofono accattivanti, grande stile!
Dopo un pezzo così si può anche perdonare una Juliette Lewis che curiosamente, in LIES! se la vede niente meno che con un italianissimo “bamboccione”, anyway il pezzo è divertente e a momenti quasi rilassato, salvo esplodere in un refrain incandescente. L’atmosfera si stempera e cede il passo (lento e cadenzato) a HANG MAN BLUES – brano intenso ed emozionante, in cui un contrabbasso notturno, un sassofono tormentato, un entusiasmante doppio assolo di violino e violoncello fanno davvero apprezzare i Quintorigo per l’eccezionale bravura con cui sanno interpretare ogni genere, rimanendo fedeli ma lasciando al tempo stesso la loro impronta unica, come dimostra del resto tutto il precedente Play Mingus. Un arrangiamento eccelso!
Si chiude con BURNING DOUBTS, suoni che divengono quasi impressioni di luce, un’atmosfera sognante avvolge tutto e riporta un po’ ai paesaggi trasognati di Illune (vedi In cattività), il sassofono di Valentino addolcisce con linee melodiche cangianti.
Un album da non perdere, perché meritano attenzione. Magari da comprare durante un concerto: costa meno e, soprattutto, l’esperienza non lascia mai indifferenti. I Quintorigo già da metà Gennaio sono impegnati nel nuovo tour, le locations non sono sempre all’altezza, ma quando iniziano a suonare si dimentica tutto…
I Quintorigo sono:
Valentino Bianchi: sassofoni
Andrea Costa: violino
Gionata Costa: violoncello
Stefano Ricci: contrabbasso
Luca Sapio: voce