Punk Anarchia Rumore – Carmine Mangone, recensione del libro.
“Ogni manifestazione della nostra vita è accompagnata dal rumore. Il rumore è quindi famigliare al nostro orecchio ed ha il potere di richiamar la vita stessa”
Proprio in questi giorni Repubblica ha dato inizio ad una nuova iniziativa editoriale pubblicizzata dallo slogan Punk, quando il rock alza la cresta. Un collana di dischi pensati (malissimo) e selezionati (ancor peggio) per celebrare i quarant’anni di uno dei movimenti musicali più importanti del secolo scorso.
Al di là del piacere effimero e totalmente soggettivo del vedere un caposaldo germinale come Nevermind the bollocks su una delle principali testate italiane, sento il dovere di bollare come inammissibile il (ri)trovare il generazionale esordio dei Pistols ai margini del mondo mainstream.
Potrei parlare di un atto irrispettoso che, similmente al Filthy Lucre Tour, destruttura lo spirito dissacrante ed anti sociale che ne ha caratterizzato la nascita, oppure accettare (ancora una volta) l’ennesima “truffa” di Johnny Rotten e dell’imperante incompetenza musicale che pervade i nostri media.
Invece, e a proposito, ai margini di questo curioso ossimoro editoriale, sepolto nel più genuino e ricco underground, emerge con forza e caratura una delle migliori ultime uscite Punk: Punk Anarchia Rumore. L’opera, editata da Crac Edizioni, racchiude in sé uno specchio analitico di ciò che il mondo nichilista ed autodistruttivo è stato (soprattutto nella sua evoluzione strutturale) prima di evolversi e deformarsi. Un mutazione sociale, filosofica e argomentativa che è riuscita a portare in seconda battuta band come Crass e Minor Threat in una realtà in cui la disarmonia, gli spigoli sonori e la sgradevolezza hanno concretizzato l’inevitabile.
Il libro, scritto e pensato da Carmine Mangone, non si presenta armato di una indispensabile necessità, ma al contrario si erge con il suo stile barocco e forbito verso un’urgenza narrativa, basata su di un particolare modo di vivere il vissuto, che va ben oltre a meri approcci storiografici. L’abilità descrittiva del suo autore, infatti, mostra con chiarezza un folle intreccio descrittivo, pronto ad intercalare il DIY degli albori con filosofie e studi nobili, giungendo (mediante un libertario flusso di coscienza) all’analisi diretta di un universo che non si esaurisce certo con Malcom McLaren.
Insomma, una piccola opera (a mio avviso imperdibile) che, nonostante alcuni passaggi meno a fuoco, potrebbe benissimo apparire tra i testi monografici necessari per un esame di sociologia dei gruppi.