Pivirama”in my mind”
La prima volta che ho messo nell’autoradio “In my mind” dei Pivirama, ho avuto il piacere di assistere ad un simpatico siparietto, che due dei miei compagni di viaggio hanno voluto regalarmi…
A metà della prima traccia il mio copilota, in maniera forse affrettata, ha iniziato a sentenziare con una sintetica quanto errata definizione. Fortunatamente, almeno per una volta, l’apologia degli artisti non è stata un mio onere; infatti, la terza persona, ha definito in maniera piuttosto chiara e risolutoria l’inizio della disputa, riuscendo, in poche parole, a segnare con precisione i margini di “In my mind”. Il terzo uomo, ha evidenziato immediatamente come, pur essendo quella di Raffaella una voce ancora piuttosto acerba, siamo di fronte ad una buona prospettiva…insomma per una volta non ho dovuto vestire i panni del “Morgan difensore”.
Terminata la discussione, ho reputato opportuno scegliere questa bislacca e semplicistica maniera, per avviare l’incipit di questa nuova recensione del disco promosso da Giancarlo Passarella della Ululati dall’Underground records.
Sorvolando sulla mia personalissima difficoltà nell’accettare il colore viola come portante, causa (ir)razionale dose di inguaribile superstizione, il disco dei Pivirama si presenta tra arie psycho rock, alternative pop e post punk.
L’album si apre con l’interessante “I love u”, in cui la sovrastante voce di Raffaella Daino da i versi ad un intro soft noise e a ritmiche ossessive, tra toni scomposti e backvoice, che collocano il brano tra PIL e certi passaggi di Brian Molko, sino a spegnersi tra echi space. Il buon groove prosegue con “All grey” in cui la ciclicità e il piano sonoro riflettono riff di buona riuscita, che spesso definiscono gli argini alla band, per certi versi ancora inesperta. Tanto è vero che in brani come “Love affair” e per ovvietà di cose in “Love affaire live@Demo radio1Rai”, i vocalismi di Raffaella, forse cercando accenni Biorkiani, finiscono per smarrirsi perdendo l’orientamento. Il senso di smarrimento è però complementato da alcuni passaggi del basso di Danilo Impastato, ma soprattutto dal pathos ricreato dai tasti neri e bianchi di Bajardi, che dona la giusta drammaturgia musicale. L’alternative pop rock vive invece tra le note di “Toxic girl”, i cui futuribili suoni sono mescolati con un’anima rock dal sapore retrò. Non mancano sperimentazioni trip pop come nella breve “To be continued…” e nella coraggiosa titletrack, forse tra i brani meglio riusciti, tanto cruda quando soffice, tra voglia di sperimentare e timore di osare veramente.
Il disco si chiude con gli otto minuti di “The city live video” che chiude un cerchio non perfetto capace però di coniugare concettualità dream pop con quelle più acide e post altroniche, senza però riuscire a trovare una vera e propria identità, forse a causa di un anglofonia non proprio lineare o forse a causa di territori esplorati ma non ancora seminati a dovere