Pinomarino – Non bastano i fiori. Recensione

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C’è una generazione di artisti di area cantautorale più o meno tra i trenta e i quarantacinque anni che ha alleggerito il peso delle canzoni. Max Gazzè, Samuele Bersani, Niccolò Fabi, Simone Cristicchi (i primi che ci vengono in mente) tendono a giocare col surreale, amano la levità, usano il paradosso; qualunque sia il tema sembra si faccia di tutto per evitare gli stilemi e i paletti della “canzone impegnata”. Anche così ovviamente è possibile trattare argomenti spinosi, o toccanti, o di interesse sociale, ma l’approccio è molto distante dallo stereotipo del cantautore.

Nel gruppo potremmo inserire anche il quarantatreenne Pinomarino e parzialmente le canzoni di “Non bastano i fiori”.
Minuto nel fisico, quando vuole ironico, voce se non spostata sui toni alti quasi equalizzata a smorzare quelli bassi, il Nostro sembra proprio il prototipo del “songwriter leggero”.
E laddove la leggerezza diventa la cifra stilistica, quando l’aria riesce a sostenere le parole, i brani del cd assumono il volume necessario per fluttuare e giungere a destinazione anche quando la canzone non dovrebbe proprio funzionare.
Prendete l’iniziale “Canzone numero 8”: le parole della strofa vengono ripetute troppe volte e un ritornello che fa “tutto corre verso il lato di minore resistenza” non amerebbe farsi musicare, eppure il pezzo è sempre in perfetto equilibrio. E in aggravante si sta parlando di sistemi universali mica roba da ridere.
La sucessiva “I fiori” è una canzone splendida, non serve dire altro.
Il disco continua con “Caporalmaggiore” che trova soluzioni armoniche e arrangiamenti forse non proprio originali ma che funzionano splendidamente perchè al servizio di una canzone che si avverte fortemente sentita.
Dopo le cose iniziano ad andare meno bene, o meglio vanno bene solo a sprazzi e l’incanto si ripete forse solo in “L’acqua e la pazienza”.
Alle volte sembra che la scrittura vada più in là delle possibilità interpretative del suo autore: magari per cantare la difficile melodia de “L’isola” sarebbe meglio avere una di quelle voci alla Laura Pausini che vanno a prendere qualsiasi intonazione senza alcuna incertezza. Magari per “L’alluvione del ’43” ci vorrebbero capacità cabarettistiche oltrechè musicali. Ma anche quando la canzone sembra attanagliarsi a Pinomarino qualcosa non gira perchè “Ciao, ciao buonafortuna” e “Menomale” sono carine ma non viene la voglia di impararne le parole.

Il lavoro in questione ha ricevuto molti plausi e riconoscimenti, ma trova il suo motivo di interesse soprattutto nei primi tre brani che sono veramente buoni. Potete aspettare Pinomarino alla prossima prova (già uscita tra l’altro) o accontentarvi di tre/quattro belle canzoni. Non saremo certo noi a dire che sono poche.