Pink Moon – Nick Drake, recensione.(1972)
Continuiamo il nostro viaggio “spazio temporale” – alla ricerca dei DISCHI DA ISOLA DESERTA – con la musica folk che, pur con alti e bassi, continua da più di mezzo secolo a trovare uno spazio importante nella vita di milioni di persone.
Se gli artisti di riferimento fondamentali, dall’altra parte dell’oceano, sono da sempre gli imprescindibili Dylan (di cui vi abbiamo raccontato “Blood On The Tracks”), Goothrie o Seeger, non c’è dubbio che in Europa la scena inglese sia sempre stata quella più rilevante. Fra i cantautori più brillanti ce n’è uno che forse ha lasciato un segno indelebile (insieme a Cat Stevens e John Martyn , fra i più grandi), influenzando le generazioni future amanti del genere: Nick Drake.
Era giovane, affascinante, ma squattrinato e dal carattere introverso, con forti problemi di depressione. Dotato di una voce calda come una coperta di lana e sensuale come una sciarpa di seta, ma soprattutto di un immenso talento, dei cui frutti purtroppo non riuscì mai a godere in pieno. Il suo produttore, Joe Boyd, a capo della Island Records, lo adorava nonostante i suoi primi due dischi (“Five Leaves Left” e “Bryter Lyter”) avessero venduto poco. Ma tanta era la fiducia in Drake, che gli fu lasciato spazio per una terza prova a cavallo fra il ‘71 e ‘72. Dopo un periodo d’isolamento all’estero, Drake si presentò in studio di registrazione con una manciata di canzoni brevi, ma cariche di un’intensità ed intimità da togliere il respiro. Per registrare il disco, per la prima volta non volle nessuno oltre all’ingegnere del suono John Wood e, a parte per la title track, non fece nessuna sovra incisione: solo la sua chitarra acustica e la sua voce. In due notti l’album era sostanzialmente pronto, ma a lui forse della vita stessa non interessava già più nulla. Scomparirà del tutto dalla circolazione per un paio d’anni, fino alla morte prematura per un dosaggio (volutamente?) sbagliato di antidepressivi, lasciando per il suo pubblico – all’epoca ristretto ma molto appassionato – un vuoto enorme.
Un’immensa fragilità umana emerge dall’ascolto delle 11 ballate ridotte all’osso (compresa la strumentale “Horn”), fra le quali alcune sembrano quasi dei mantra ipnotici, nei quali potersi perdere totalmente (“Know” e “Free Ride”) insieme a lui. Nonostante il notevole livello estetico sia omogeneamente distribuito in tutto album, ci sono brani che restano dei veri e propri capolavori. Il primo è “Place To Be” nel quale l’autore, con una melodia angelica, racconta nostalgicamente dei tempi passati in cui aveva la forza per affrontare la vita, a differenza di ora in cui si sente debole, anche a livello sentimentale, per affrontare un rapporto d’amore. Pur nell’ermetismo che domina i testi, due canzoni descrivono meglio il modo in cui Nick vedeva gli altri intorno a sé: “Things Behind The Sun” e “Parasite”. Nel primo, ci avverte senza mezzi termini di non fidarsi degli ipocriti che ci guardano e ci sorridono, invitandoci invece a dedicare i nostri pensieri, perfino le nostre preghiere, a chi non ce l’ha fatta, a chi è caduto, senza giudicarli mai. Nella seconda c’è tutto il suo senso di sconfitta e l’amara constatazione che alle altre persone, in fondo, non interessi nulla della sofferenza del prossimo.
Fra le interpretazioni più ricorrenti dell’immagine della “Luna Rosa”, canzone che apre il disco e gli dà il titolo, c’è la metafora della morte, che, prima o poi, inevitabilmente arriverà per tutti quanti e dalla quale nessuno può sfuggire. A questo pessimismo cosmico, che in fondo pervade tutto il disco si contrappone la finale “From The Morning” che anche dal punto di vista della melodia e dell’interpretazione è di una serenità disarmante. Queste le parole della prima strofa:
“Una volta è arrivato il giorno, ed era bellissimo
Una volta il giorno è sorto dalla terra
Poi la notte è calata
E l’aria era bellissima
La notte è calata tutt’intorno”
Rappresenta l’ultimo gioiello regalatoci da Nick Drake, che lascia senza parole per la sua bellezza.
Un artista misterioso e un disco stupendo….semplicemente eterni.