Phonometak #8, recensione
Siamo arrivati al volume otto del Phomometak laboratories, l’officina musicale che attraverso la competenza della Wallace records, arriva a pubblicare dischi unici nel loro genere. L’ormai classica cover gialla racconta di un grammofono che da vita all’arte dei Scarnella e a quella dei nostrani Fluorent pigs.
Il primo lato è occupato dall’ingegnosità di Carla Bozulich, spirito perturbato di un’ America underground. Musicista maledetta, che tra talento ed eccessi si è abbracciata a progetti quali Geraldine Fibbers ed Ethyl Meatplow, partendo da un cervellotico da un destabilizzante cyber industriale passando per un alternative punk, sino ad arrivare al mondo degli Scarnella, condiviso con l’ex coniuge Nels Cline. Le tre tracce del side A, raccontano partiture fuori dagli schemi, che metaforicamente riprendono gli sviluppi sociali del suo personaggio. Una serie di musicalità che donano all’ascoltatore la sensazione di essere catapultati in una realtà parallela, desertica e fredda, ma al contempo meccanica e tecnocratica. Quetsa sensazione disorientante è ben definita dall’introduttiva Alluvium in cui l’ansia e l’inquietudine è sapientemente mescolata ad aperte e leggiadri risvolti sonori. Un’alluvione di sonorità che strizzano l’occhio ad un post rumorismo abbarbicato al classicismo orientaleggiante adatto ad un assopito risveglio di un mondo fatto di stranezze, riverberi e allucinazioni improvvise.
Di grande impatto risulta poi What i did today in cui la polistrumentista Bozulich mescola un sentore noise ad un calore vocale che riporta alla mente i vecchi gospel che i neri d’America utilizzavano durante i lavori nei campi di schiavitù, anticipando il blues inteso in senso modernista.
Il brano si sviluppa su di una piacevole linea di cantato tra canti e controcanti sino a confluire senza mezzi termini all’interno del territorio disturbante tra loop e ridondanze circoscritte ammorbidite dal classicismo d’oltreoceano che emerge da Sparkler 4 Runaway capace di unire soft noise ad un sapore bucolico che nell’immaginifico sembra ricordare le rupestri sensazioni dei vecchi western.
Il lato b invece è interamente occupato da un’interessante e piacevolmente presuntuosa suite dei nostrani Fluorescent pig che per la scenta del loro nome hanno preso spunto dall’abberrazione genetica di mescolare materiale genetico delle meduse al dna dei maiali. Spinti dalla loro visione di un mondo che sembra non appartenerci più il duo Alessandro “asso” Stefana e Andrea Belfi offrono attraverso il loro eclettico progetto tecnica ed improvvisazione che viene introdotta da un suono prettamete post rock molto legato al noise tipico degli yellow split.
In Butanuku meeting ritroviamo sonorità tribalistiche che ci trasportano tra i folkloristici corni kudu ed algaita. All’interno del lungo sentiero tracciato dalle note dell’unica traccia si incontrano chitarre pulite e buoni sviluppi alle pelli tra imprò e armonia. Non mancano sapori indie rock,loop, ridondanze sonore maturate attorno a inusuili trovate musicali. La composizione dei maiali fluorescenti appare come una sorta di romanzo cavalleresco in cui il donchisciotte di turno si ritrova ad affrontare una gustosa miriade di diversificate avventure, legate da un fill ropuge che ci porta come il filo di arianna ad un conclusione dell’aniam elettronica.