Phaith “Redrumorder”, recensione
Niente compromessi! Zero politica! Eppure
Arrivano dall’Italia innevata del nord est, sotto la bandiera di un convincente metal che sembra volersi ergere dall’old school, attraverso un’infinita dose di citazionismo capace di cogliere dal passato, senza arrivare a clonare virtuosismi della golden age.
Una band che, raggiunta una stabilità artistica, ha finalmente deciso di licenziare, grazie alla Red Cat promotion il primo full lenght, figlio di nuovi influssi e tendenze musicali capaci di andare oltre all’hard & heavy degli esordi. In Redrumorder troverete infatti note aggressive, ma appogiate a vecchi stilemi metal.
Gli ampezzani, infatti, si prodigano per ottenere un prodotto spendibile in quella vecchia struttura di headbangers, senza tralasciare le nuove nu-level, forse per un mero tentativo poco nobile o più probabilmente per riuscire nell’intento di racchiudere nelle 10 tracce diverse tendenze musicali.
La mission della band sembra però chiarita dalla stessa work art, in cui trapela l’intenzione di rimanere ancorati alle fila, ampliando e diversificando però gli sguardi, senza così essere inchiodati alle regole rigide di un mondo colpito. La storia raccontata dal quintetto raccoglie germi di ribellione, relazioni amicali ed amorose, attraversando morte, dualismo e i mali di quella società aperta da War Morning. Nel brano un buon riff d’impatto assesta giochi di fade in & out, rafforzati da un classico dialogo di sei corde, tra controcanti e accenni di contenuto scream, che a tratti sembra voler citare i vocalizzi dei sottovalutati Satan.
Come premesso, gli influssi che presenziano sulle partiture sono molti, come dimostrano le linee di cantato che sembrano voler incrociare Tom Araya con Robert Helford, ma regalando comunque una dose di altalenate originalità, come nel power metal (molto vintage) proposto da Another heart to hurt, piacevole passo borchiato che appare già un classico.
Se poi Deep in the human soul convince meno, il buon passo è comunque tenuto dalle sensazioni nordiche di Factory of enermies, in cui giochi inquieti di vocalità introducono un effetto discorsivo, calmierato dalle strofe e dal loro andamento narrativo per un old style che ben si allinea con Death is pornography e soprattutto Rorschach. A contrastare stimoli scream ci pensa poi 12 wings, ballad dall’andamento proto-epico, con i suoi ciclotimici andamenti che travisano su note bianco nere, intersecando sviluppi degli ultimi Maiden.
Insomma un disco piacevole che non offre nulla di nuovo se non il piacere di ascoltare buon metal senza troppi compromessi, rifuggendo dai clichè più banali, ma spesso incanalandosi in labirinti d’eccesso che forse appaiono dedali insoluti, nonostante una buona tecnica esecutiva.
TRACKLIST:
1. War Morning 2.12
2. Another heart to hurt
3. Factory of enemies
4. 12 wings
5. Rorschach
6. Videodrome
7. Deep in the human soul
8. Blessed is the pain (Monsoon)
9. Death is Pornography
10. How many bullets