Penti “Isdiri misti sini”, recensione

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Marco Porcelli, in arte Penti, esce dal mondo dei Gardenya per portare con sé la propria voglia espressiva incentrata sull’italianizzazione di sonorità alt, post e psichedelic old style; tanto è vero che nell’info-sheet di corredo al disco si leggono i nomi di due altisonanti band (Pink Floye e Sigur Ros) che rendono nell’immediato l’idea cardine dalla quale partire per comprendere l’opera con la quale l’autore tranese arriva alle stampe.

Dodici tracce da ascoltare con l’attenzione di chi ha l’intenzione di perdersi in quei mondi magici che non esistono, mondi che, come dice il loro demiurgo, appartengono alla nostra intimità emotiva. Porcelli infatti ci invita ad ascoltare il disco come fosse una colonna sonora di un film che ci induce al relax ipnagogico, definito dal perdersi tra i suoni mescolati ai silenti pensieri.

Un disco che fluttua tra le note galleggianti di partiture attente, anche se non sempre in linea con le premesse. Note immerse in un torbido, ma al contempo elegante, fluido sonoro, ben metaforizzato dalla cove art. Un perfetta dozzina di opere poliedriche dal titolo ermetico e dalla durata contenuta, che rispetto ad alcuni clichè sui generis (spesso utili e necessari), non debordano in eccessive delimitazioni, ma si concentrano su armonizzazioni divergenti e talvolta destabilizzanti quanto il linguaggio di Jonsi e l’idioma tribale della signorina ?Alos.

Il dolce connubio tra psichedelica ed alternatività, fonte primaria d’espressione musicale di Penti, sono diluite nelle note di Nina, traccia d’introduzione in cui la chitarra delicata viene toccata dalle gocce bianche e nere del pianoforte. Un attento dialogo tra la sei corde e le due mani che si avvicendano in modo sentito tra gli alti tasti della mano destra, riuscendo a definire una successione di voci che si affrontano in maniera pacata, in una sorta di mondo onirico. Con Esta si arriva poi all’angelica voce di Francesca Copertino, linea narrante di un climax sonoro segnato e disegnato dai violini, per un crescendo che sembra voler citare alcune misure dei Sigur Ros di Með suð í eyrum við spilum endalaust.

L’aria è resa (invece) maggiormente cupa dall’intro di Tarm , il cui drum set in tribal style si accompagna a distorsioni chitarristiche indirizzate verso un inatteso classic rock fine anni ’70, da cui emergono elementi psichedelici e ridondanze caleidoscopiche. Se poi con Isdiri misti sini il gioco ossessivo risulta meno a fuoco, con le fluttuanti note di Bosk e le aperture pop di Blar Penti riesce a mitigare l’inquietudine espressa con Van e l’accortezza di Traffi , eterogea composizione al pari della convincente sperimentazione electro surf di Ium.

Un disco ricco di sorprese, trainante ed etereo, coinvolgente e melanconico, perfetto soundtrack di un mondo sub-reale in cui le variabili emozionali fungono da linfa vitale alle note per certi versi magiche. Un’opera che possiede come unico neo quello di non credere troppo nelle sue direttive, arrivando ad includere troppi passaggi esecutivi senza proporsi un necessario approfondimento tematico ed esecutivo delle tracce più interessanti.

TRACKLIST

1 – Nina
2 – Esta (feat. F. Copertino)
3 – Tarm
4 – Bosk
5 – Van
6 – Isdiri Misti Sini
7 – Blar
8 – Jair
9 – IUM
10 – Gilert
11 – Traffi
12 – Dall’altra parte del mare