P.oz “2974 Musik for dark airport”, recensione
2974 musik for dark airport assorbe le emozionalità dell’astante ben prima di ascoltarne I meandri osservativi delle sue partiture. Infatti, esaminando la magnifica cover art, ci si ritrova, come in preda alla più classica sindrome di Stendhal, immersi nei viluppi tetri ed oscuri di un incubo espressivo. Un rimando violento ed efficace alle “colline silenti” di Chrisophe Gans, prive di reali forme granguignolesce. I respiri delle ombre e le graffiate sensazioni donano al disco una splendida veste, in grado di restituire alle claustrofobiche percezioni musicali di P.oz una vera e propria metaforica vis.
L’album, ispirato al crollo delle torri gemelle, arriva ad intercalare il proprio preludio verso l’arte del cut ups, qui svincolato e libero di dare aria all’occlusione esecutiva, vissuta tra minimalismi ed arguti passaggi sopra le righe. Infatti Il combo italiano, composto da Antonio Bufi e Antonio Lisena, giunge al nuovo full lenght, promosso dall Seahorse Recordings, mediante una curiosa mistura di minimalismo, sampler e noise.
Ad aprire l’oscurità intrinseca, è il disturbante ed inquieto suono di D1 che, tra espressioni electro e ridondanze emozionali, lascia spazio a sampler cripto space, alimentati da energia in background pronta a ridefinire echi e riverberi di un dialogo, che va oltre al semplice programming. Spezie d’impostazione minimale acuiscono poi in maniera accorta e reiterata l’oscurità misterica che pervade l’ascoltatore sin dalla prima traccia. Un antro musicale per certi versi ritroviamo in A2, in cui riuscite intuizioni noise, si palesano come abili nel confermare ancestrali sentieri, posati su di una via avantgarde. Una mescolanza di note turbate e turbanti che strasformato il futuristico ed il robotico approccio in un idioma non troppo lontano da una certa tipologia di beat house. Le impostazioni di stampo sintetico giungono a spegnere i propri ardori mediante strutture noisy che, fagocitate da stop and go e cambi direzionali, ritornano al proprio incipit onirico e destrutturato. Proprio l’elemento disorientante sembra ritornare grazie alle note di k4, in cui giochi elettronici si offrono alla chitarra elettrica di Sergio Altamura, intenso e coinvolto proprio come accade sugli apici espressivi di DA2974. La mescolanza inusuale dei suoni del gong, della balalaika, dello xilophono e del waiting bell (!) straniscono l’ascoltatore fornendo una visione alterata degli orizzonti, in maniera da restituire una lettura libera da folli elargizioni sonore (I6) e collage socio politici (R7), da cui ci si erge sconvolti dalle nere sensazioni, che spesso le partiture portano con sé.
Il disco dei P.oz. sembra non avere e non volere mezze misure, infatti pur curando un ben assestato campo armonico, finisce per rivoltarsi spesso su di riduzioni altroniche, pronte a trovare nei disturbi ovattati una naturale estensione. Una dilatazione meta testuale che, tra metafore ardite e libere interpretazioni, fornisce una dinamica introspettiva nuvolare ed ipnotica, pronta a determinare la discesa di una fuliggine calmierante e al tempo stesso definitiva. Un’opera che si presenta come un frastagliato narrato, avvelenato da sensazioni difficoltose e visionarie, i cui echi rendono l’orizzonte ancor più disperso e confuso.
Insomma un piccolo capolavoro noise, in grado di completarsi in maniera del tutto naturale con le sue desertiche e surreali lunghezze (R10), mostrandosi nel sua anima scarnificata (T11).