Orchestra di Piazza Vittorio – Sona

copertina di Sona - Orchestra di Piazza Vittorio

Ricordo quando a piazza Vittorio c’era il mercato. I cinesi non avevano ancora invaso la zona, acquistando uno dietro l’alro le botteghe e gli appartamenti di via Principe Amedeo e via Turati, e nel quartiere c’era equilibrio tra razze, religoni e idiomi. Di giorno sui banchi del mercato si vendevano carne halal, curcuma e cumino accanto a trippa, pajata e puntarelle, mentre di notte gli stessi banchi servivano a nascondere nella penombra oscuri personaggi dell’emarginazione urbana. Molti la consideravano una zona degradata, ma io, che ci vivevo accanto, ne subivo il fascino.

Oggi la piazza più grande di Roma è stata recuperata, il grande giardino al centro è aperto e il mercato si è trasferito poco lontano. Ciononostante oramai il suo carattere di ritrovo di “alieni” è formato, confermandola il principale luogo di aggregazione e di riferimento dell’immigrazione romana, sempre più integrata e accettata. L’Orchestra di piazza Vittorio è un frutto del crogiolo delle culture arabe, africane, sudamericane, orientali e italiane che animano il quartiere Esquilino.

L’Orchestra è stata fondata nel 2002 dal tastierista Mario Tronco, di provenienza Avion Travel, che oggi ne è il direttore artistico. Ascoltare un loro disco è come salire su una giostra in cui si incontrano cammelli, nani e auto da corsa. Suoni di tanti mondi si amalgamano in ogni brano, la cui caratterizzazione deriva soprattutto da chi ne è autore. Alcuni brani sono scritti a quattro mani e hanno due anime.

In Sona si intrecciano le splendide voci dei due cantanti tunisini Houcine Ataa e Ziad Trabelsi, che suona anche l’oud, del chitarrista brasiliano Evandro Cesar dos Reis e dell’ecuadoregno Carlos Paz Duque, alle quali si aggiungono le percussioni, la kora e le voci dei senegalesi Papa Yeri Samb e Kaw Sissoko. La sezione d’archi è formata dall’ungherese Eszter Nagypal, violoncello, dall’italiana Gaia Orsoni, viola, e dall’americano John Maida, violino, mentre i fiati sono: dall’Italia Peppe D’Argenzio al sax baritono e clarinetto basso e Giuseppe Smaldino al corno e, da Cuba, Omar Lopez Valle alla tromba e flicorno. Oltre ai tamburi tradizionali senegalesi, djembe, doundoun e sabar, la sezione ritmica è completata dall’argentino Raul Cuervo Scebba alle congas e marimba, dal cubano Ernesto El Kiri Lopez Maturell alla batteria e alle congas e da Pino Pecorelli al basso.

Rispetto al primo disco, anch’esso caleidoscopico e splendido, in Sona si confermano le predominanze arabe e sudamericane e si rafforza l’anima africana, soprattutto grazie alla kora di Kaw Sissoko, mentre l’assenza dei due artisti indiani Amrit Hussain alle tabla e Mohammed Bilal all’armonium e voce indebolisce il profumo dell’estremo oriente.

Sona è musica divertente e imprevedibile. La freschezza delle composizioni e delle esecuzioni è bilanciata dalla ricchezza degli arrangiamenti e dalla varietà di accenti e suoni. A voler essere pignoli, in qualche caso l’inevitabile compromesso tra sapori si risolve in soluzioni che suonano forse troppo semplici, ma si tratta soltanto di un peccato di gioventù, tutto sommato trascurabile.

La realtà è che entrambi i dischi della OPV hanno avuto un successo inaspettato, seguito dall’entusiasmo con il quale è accompagnato il documentario dedicato all’Orchestra uscito nel mese di settembre, le cui proiezioni in sale cinematografiche minori sono annunciate da un ampio ed entusiastico passaparola. La forza inaspettata di questo fenomeno nostrano è tale dall’aver incoraggiato la costituzione di una analoga orchestra di immigrati con base a Milano, di cui forse presto sentiremo parlare.

Se il futuro di un gruppo in continua trasformazione creativa non può che non essere imprevedibile, il presente è davanti ai nostri occhi e alle nostre orecchie, concreto, romantico, luminoso e persino abbagliante.

Brani:

Sona
Ena Fintidaarh’k
Fela
Helo Rama Per
Laila
Balesh Tebsni
Ena Andi
Sandina
Vagabundo Soy