Ondamedia Lungo le strade senza volto, recensione
Sono passati tre anni da quando la mia penna ha incontrato per la prima volta gli Ondamedia…Penna? Ha detto penna?…Ebbene si! Sarà strano a credersi ma ancora utilizzo carta e penna per scrivere gli articoli che poi i lettori hanno la bontà di leggere. Una questione di calda sensazione tattile, ben diversa dalla tastiera querty che mi ritrovo di fronte.
Proprio quel calore retrò, così appagante, può essere metaforicamente messo in parallelo con il sapore rock di stampo old style che ancora una volta gli Ondamedia hanno deciso di offrire al loro pubblico.
“Lungo strade senza volto”, oltre ad essere un poetico titolo filmico, racconta di un quintetto che crede davvero in ciò che propone. Un disco che ha in sé le polveri delle carme d’autore atto a raccontare un romanzo autobiografico che, come loro stessi ammettono, rappresenta un “Concept sulla perdita di se stessi e sul difficile cammino rappresentato dalla continua ricerca della propria identità”
Il disco raccoglie idee e buoni sviluppi all’interno delle 12 tracce circolari, capaci di rinnovarsi e ricrearsi attraverso la ridondanza dell’epilogo, naturale continuazione del “Respiro” iniziale, che ci introduce nel vero e proprio racconto. Attraverso note arpeggiate. Con ragionata attenzione, lo stato d’animo del narrato si deturpa nella partitura della convincente “Simbolo”, che con il suo solo di chiusura definisce alternanze di sensazioni tangibili per un viaggio tra capitoli che scorrono veloci come il rock classico di “Uomini senz’alba”. Quest’ultima rappresenta con le sue spezie prog psichedelico la definizione consequenziale dell’anticlimax “Mentore 1”, bucolica ninna nanna, in cui l’acoustic style porta distensione e serenità momentanea, ripresa per certi versi anche da “Un giorno perfetto” tanto delicata quanto leggiadra. Tra i brani migliori è necessario annoverare “Oltre la siepe”, citazione letteraria che coinvolge Harper Lee, anche se, nel caso degli Ondamedia, sembra mancare quel buio ovattante e quella paura del vivere ignoto. Il brano con le sue chitarre e il tuo timbro convincente porta con sé ardire e rabbia tra stop and go e cambi di direzioni salutari ai fini della narrazione musicale.
Completano il disco la seconda parte di “Mentore”, dolce enclave sonora e l’inquita “Capoverso” sviluppata su sofficie sognanti note, in cui la voce di Fabrizio trova terreno fertile per dar eil meglio di sé.
Un disco coraggioso (forse qualcuno dirà pretenzioso) capace di raccogliere idee e sviluppare sentimenti narrativi di buon impatto, senza lasciare al caso quasi nulla. Un opera che mostra una notevole maturazione artistica ancora però penalizzata da una post produzione non perfetta.