Oasis – Dig out the soul recensione.
Non abbiamo bisogno di una brutta copia dei Beatles, mi sono detto la prima volta che ho ascoltato gli Oasis, circa quindici anni fa. Un giudizio sicuramente affrettato, perché anche ascoltando questo loro lavoro è evidente che il gruppo inglese non è una semplice pop band, ma è in grado di proporre con energia brani con forti venature rock, nati da una buona vena compositiva, pur con qualche discontinuità.
Osservo la grafica della copertina di questo album del 2008 e mi sembra di avere in mano un disco in pieno stile anni ’70, mentre mi scorrono nella memoria copertine di Santana, Gentle Giant, Beatles periodo “Sgt.Pepper”…
Energia della natura in contrapposizione ad energia prodotta dall’uomo, eserciti all’attacco e croci di camposanto militare, monache e donne orientali ingabbiate in abiti che rappresentano varie forme di “burqa”, ci lasciano supporre un lavoro pieno di concetti e di reminiscenze anni ’70.
Si parte, ed è davvero un buon inizio, con “Bag it up”, brano bello carico e con lampi psichedelici, pieno di chitarre ruvide di energia che non fanno mai calare la tensione e si prosegue poi ad alto ritmo con “The turning”, dove la voce riprende le cadenze stile Oasis ed il finale riporta, in omaggio ai Beatles dell’album bianco, a “Dear prudence”.
Si prosegue con “Waiting for the rapture”, distorsione benefica e chitarre che lavorano senza tanti preziosismi, ma non per questo suonano “buttate là”. Anche il successivo “The shock of the lightning” è ben sostenuto dalle chitarre, ma perde un po’ di mordente rispetto a quanto ascoltato fino ad ora, fino alla parte finale nella quale il brano risale di tono.
In “I’m outta time” si sente la presenza dell’ombra di John Lennon, la cui voce appare nel finale, e questo brano è la classica ballata alla Oasis, che ci fa un po’ prendere fiato dopo un inizio così tirato.
I Beatles ed i gruppi della scena rock a cavallo fra gli anni ’60 e ‘70, come Cream e Yardbirds, per citarne alcuni, sono sempre così presenti che i fratelli Gallagher sembrano giocare a carte scoperte, nel senso che citazioni e richiami di cui sono infarciti i brani fino a qui ascoltati appaiono così evidenti da rappresentare un omaggio ai suoni di quel periodo, più che un tentativo di scopiazzatura.
Tutto sta filando liscio ma purtroppo nella seconda parte del lavoro si avverte qualche scricchiolio.
“(Get off your) high horse Lady” è un brano a mio avviso piuttosto noioso, con una ritmica ripetitiva, e si trascina stancamente nonostante qualche arrangiamento di chitarra acustica ed elettrica che lo rende meno ossessivo. In alcuni tratti ricorda la fase calante dei Genesis di “That’s all”, e questo mi rende ancora più triste. Finale con passi nella ghiaia, canti di uccelli e risacca, forse la parte migliore del brano…
Fortunatamente arriva “Falling down”, davvero splendida, chitarre acustiche in avvio e atmosfera bella tesa, senza mai un cedimento, in grado di catturare l’ascoltatore per tutta la sua durata.
Si continua fra i suoni di sitar di “To be where there’s life” (ecco il periodo mistico…), in cui la parte vocale è piuttosto monotona, le spigolosità di “Ain’t got nothin’” e la tensione di “The nature of reality” che lascia presagire, dopo un inizio con riff di chitarra hard-blues, uno sviluppo ed punto d’arrivo, ma lascia una leggera sensazione di incompletezza.
“Soldier on” chiude degnamente, con un finale un po’ cerebrale, questo disco pieno di testi che fanno spesso riferimento al concetto di bene e di male, che probabilmente piacerà anche agli ascoltatori che non fanno parte dello zoccolo duro dei fans storici degli Oasis e a coloro che preferiscono le tinte forti alle atmosfere pop.
Niente luci soffuse, quindi, per questo album consigliabile a chi non ama la musica a basso volume, perché l’essenza di questo lavoro, molto ritmico e con una batteria quasi sempre bella pestata, esce solo sparando liberamente energia dalle casse, possibilmente con un impianto che non copra di distorsione il buon lavoro svolto in studio dagli Oasis, che ci rassicurano sul fatto che la pensione è ancora in là da venire.