O.C. & AG – Oasis recensione.
Un’oasi fatta di microfoni, amplificatori, casse e giradischi pronti a far ruotare migliaia di vinili: questo è il mondo parallelo di AG e O.C., due rappers che hanno dato tanto all’Hip-Hop ricevendo in cambio forse non quanto si sarebbero meritati a livello economico ma sicuramente tanto indiscutibile rispetto da parte di chi questa musica la vive e la interpreta come il frutto naturale di una cultura che rifiuta di vendersi al mercato di massa.
Newyorkesi ma figli di due quartieri lontani tra di loro come il Bronx di AG e la Brooklyn di O.C., i due sono uniti da anni dall’appartenenza alla crew Diggin’ In The Crates, un ensemble che gode di uno status da re dell’underground grazie ai loro live show, i loro freestyle alle radio e la loro attiva partecipazione al movimento “serio” della Grande Mela, guidati da veteranissimi quali Lord Finesse e Diamond D.
Le carriere dei due protagonisti sono costellate di album classici, insieme al produttore e deejay Show per AG e da solista per O.C e dopo un periodo di silenzio a livello discografico, ecco questa collaborazione che fa nascere “Oasis”.
Sarebbe stato opportuno mettere uno sticker in evidenza sulla copertina con la dicitura “solo per ascoltatori abituati al vero Hip-Hop” e questo, scherzi a parte, deve essere ben chiaro a chi si aspetta effetti speciali. L’album è composto da 17 pezzi strutturati fondamentalmente su basi minimali fatte da batteria e campionamenti di qualche loop che dà il tocco giusto e poi tante ottime rime. E non potrebbe essere altrimenti visto che siamo in presenza di due dei rappers più tecnici che esistano e che non si tirano mai indietro davanti al microfono.
Ma chi teme che la produzione possa sfigurare, niente paura: i nomi di chi cura la parte sonora sono una garanzia assoluta, visto che i compari di crew Lord Finesse e Show si sono mossi per dare ai loro amici dei beats degni di questo nome, così come giovani adepti che ben fanno sperare per il futuro quali E-Blaze e Statik Selektah.
E’ proprio di quest’ultimo il tappeto tetro e notturno che apre l’album con l’ipnotica title-track, guarnita di scratch e versi di presentazione dei due protagonisti che richiamano a vicenda rime storiche l’un dell’altro. AG apre “Keep It Going” con una lezione di tecnica verbale impressionante, soprattutto per il suo flow apparentemente tranquillo ma che invece nasconde tante rime interne ad una stessa frase, parole scomposte e sillabate, terzine e quartine che si formano quando il verso sembra terminato, il tutto senza mai suonare fine a se stesso. O.C non è da meno e si esalta nella track molto “blaxploitation” di “Give It Back” orchestrata da Lord Finesse che invece opta per un suono più luminoso in “Alpha Males”, il classico pezzo da barbeque con rime da battaglia vecchio stile.
Show si introduce nell’album in maniera esaltante con il suo minimalismo ridotto a lillipuziani termini nella sua “Young With Style” che ha la sua magia nel ripetersi del battimani e in un semplice quanto accattivante loop in lontananza, perfetto ambiente per delle rime in cui lo storytelling incontra mille citazioni dei pionieri dell’Hip-Hop, per un risultato dal feeling splendidamente old school. E che Show abbia una marcia in più è confermato dalla splendida “Boom Bap”, vero manifesto dell’Hip-Hopper ma anche dal singolo che ha preceduto l’album, “Two For The Money”, esempio di come in due minuti si possa esprimere energia con pochi elementi essenziali.
I due si concedono anche dei pezzi solisti ed O.C sembra tornare ai tempi di “Jewelz” con la sua intensa “Everyday Life” mentre AG in “Against The Wall” si mette come al solito in cattedra a spiegare cos’è un pezzo rap, accompagnato da un’eccellente base con accenni electro di E-Blaze. Infine, anche in “Get Away” e “Pain” cioè gli unici due pezzi che concedono un minimo ad un suono meno “duro” grazie alla partecipazione della voce femminile delle Mirror Image, si riesce sempre ad ottenere un risultato che porta all’atmosfera da strada newyorkese e non di quelle piene di turisti e di negozi di grandi firme.
Di sicuro questo non toglie che la vera natura di questi due maestri del microfono sia rappresentata meglio dagli altri 15 pezzi, quelli in cui non c’è altro che la loro voce e il beat duro e puro.
In “Oasis” forse non c’è niente di nuovo, probabilmente sarà un disco che il 90% abbondante della popolazione mondiale lascerà passare inosservato. Invece dentro c’è la sofferenza, la passione, l’espressione di un mondo che AG ed O.C hanno contribuito in maniera decisiva a far crescere e che oggi, dopo circa vent’anni dal loro esordio ancora interpretano con lo stesso sudore e con lo stesso talento da cui molti appartenenti alle nuove generazioni dovrebbero trarre spunto ed imparare. E quanto sarebbe bello se nei club si ricominciassero a mettere pezzi come questi: in fondo nei primi anni 90 era questa la musica che si ballava, persino in Europa. Perchè non potrebbe esserlo ancora? Io un tentativo lo farei…