Nova76 “Serpenti sul tavolo”, recensione

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Arrivano dalla Bergamo musicale di inizio millennio, sotto l’effige sonica di power trio; dietro alle loro spalle due demo,un extended played e ora il full lenght di debutto. Un’autoproduzione in cobranding con la Gasterecords.

L’album. Registrato al Tray Studio di Milano, offre nella sua bianca ed artistica veste, un viaggio trasversale nel rock, inteso nella sua accezione più vasta del termine, capace di divincolarsi tra i serpenti, attorno ai quali si possono ritrovare note grunge, stoner e pop, spinte a dar corpo alle nove tracce di Alberto Ubbiali, voce ed anima di questi Nova76.
Il primo ascolto offre sonorità che sembrano volersi assestare attorno ad un’indefinita ossatura destabilizzante, né completamente rock, né tantomeno completamente alternativa. Infatti le partiture appaiono al contempo semplici ma curate. Gli sviluppi sonori risultano metaforizzati dall’art work di Mauro Maccarini, che riesce con pochi tratti a definire l’ingenuinità del profondo, che a tratti si nobilita tra accenni post e trovate sonore inaspettate.

A dar battesimo al debutto è appoggiata ad un convincente Riff che ci accompagna per tutto il brano, attraverso la semplicità esecutiva e coinvolgente che definisce l’incipit del disco come uno tra i migliori brani proposti.
Dalle note introduttive, la band riesce poi a convogliare un sentito retroterra musicale, fertile e diversificato, attraverso un mondo che sembra ospitare Afterhours, Verdena e come dimostra la titletrack sensazioni Marlene Kuntz.
Anche se poi lo sviluppo lirico e musicale del brano porta con se un aurea edulcorata ed orientata verso un pop rock easy listenig, il grezzo e genuino suono di Periodi ipotetici e Credere nell’aria fanno dell’essenzialità la propria arma.

La band offre inoltre spunti divertiti con Chi ha visto gente vera, in cui licenze poetiche e intelaiature asincrone riportano alla mente gli Stone Temple Pilots, similmente alla splendida chiusura acustica di Yesterday, unica traccia inglese.

Un disco che di certo non annoia, ma al contrario diverte e destabilizza come accade con La mia guerra, che in prima battuta si sposa con un intenzione nu-punk dalla ritmica infarcita di Smoking Popes, per poi amalgamarsi a sfumature post space, blandamente rumoristiche, che trovando lande sonore in alcuni passaggi volumetrici orientati ad una sorprendente raccolta di sonorità differenziate.