No hay Problema “No hay Problema “, recensione

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Dico la verità oggettiva dicendo che questo esordio rappresenta una ventata di aria fresca! Ma altresì dico una verità soggettiva dicendo che la cover art del disco è davvero sconcertante! Infatti, proprio per l’impatto negativo avuto con la cover art e ancor più con il booklet, ho finito per ritardare la mia conoscenza con gli No Hay Problema, delizioso trio composto da Irene Ientile, Marco Faldetta e Lucia Lauro, abili strumentisti e curiosi compositori, che amano presentarsi come IreLuMA, semplice e chiarissimo acronimo delle loro anime musicali.

Fortunatamente, dietro all’estetica anni 90 ritroverete un curioso e ben riuscito meltin pot sonoro che cela la fisiologica necessità di sperimentare, senza trascurare le basi portanti della tradizione e del dejà ecù, attraverso un viaggio linguistico e dinamico.

Undici tracce raccontate con personalità e cognizione di causa, per un piccolo itinerario sonoro da ascoltare e riascoltare per poterne carpire le diverse ed essenziali sfumature cromatiche.

Ad aprire l’omonimo debut è Geeky Boy, i cui magici colori vocali ci presentano una linea di cantato abile e convincente, la cui musicalità attraversa senza sforzi la raffinata ricercatezza e le semplici note dai lineamenti lounge. L’ottimo utilizzo delle quattro corde ed un attento drum set ci conducono ad un’anima Portished, da cui la narrazione prima e lo sdoppiamento vocale poi, anticipano un dialogo sonoro che si fa destabilizzante con Cool One. Il testo pulito e particolarmente eclettico, nasconde una ricerca lessicale vincente, in cui la sperimentazione fonica ritrova l’ironia di note delicate. La coinvolgente sessione ritmica, scarnificata opera contenutistica, va poi a richiamare un sapore cripto tribal ed un celatissimo brasial style. Anche se spesso le alte tonalità finiscono per banalizzare la linea di cantato, il mondo dei No Hay Problema ci conduce senza soluzione di continuità nel territorio d’oltralpe con Joli, brano introdotto dal piano di Manlio Messina, valente nell’invitarci alla spensierata visione di una canzone piacevolmente armonica e di facile lettura. Tra ispirazioni velatamente jazz, il brano ci offre una vista accorta sulla chanson francaise più popular ed age, innestata tra curiose citazioni e stop and go, pronti a portare la vocalità di Irene verso una mascherata vena recitativa.

Se poi con Il bolero sul sofà e la poco riuscita coverizzazione di Cucurrucucù paloma si percepisce un momento fuori fuoco, il giusto sentiero si torna a percorre con le cadenze reggae di La trasparenza del bicchiere e la luminosa Night and Day, che si pone sul piano della riuscita Somewhere over the rainbow. Con i suoi rimandi Hellsongs, la cover di ridefinisce completamente nel suo arrangiamento per poi assestarsi solamente sul chorus, fulcro della reminiscenza sonora.

Insomma un disco che tra alti e pochi bassi riesce a regalare un amalgama di sensazioni differenti che, con il coraggio del caso, appaiono impreziosite dalla forza degli esordi e da un’inusuale strumentazione che partendo dal shekerè arriva al darbuka passando per udu e cajon.