Natural History – John David Souther. Recensione cd

Cover

“C’è un nuovo ragazzo in città”, così cantava il ritornello di uno storico pezzo dell’album “Hotel California”, di una delle band più leggendarie d’America all’apice del proprio successo.

Ho usato l’aggettivo “storico” non a caso in quanto la ritengo calzante per spiegare chiaramente chi sia John David Souther e per meglio cogliere la portata del disco, dal titolo emblematico, che sto per raccontarvi.

Dal 1973 al 1979, alcuni pezzi degli Eagles (fra cui Doolin Dalton, Best of my love, Hearteache tonight) furono scritti da Henley e/o Frey in collaborazione proprio con questo cowboy dalla voce angelica e super romantica.

Il sodalizio pluriennale era più che consolidato quindi, pur rifiutando l’artista ogni tentativo, più che comprensibile alla luce del suo innegabile talento, di trascinarlo nella line up ufficiale del gruppo (molti lo chiamano infatti “ghost member”).
Parallelamente produceva LP solisti di ottima fattura (il primo, “John David Souther” del 1972 e soprattutto “Black Rose” del 1976) e suonava con un gruppo di vecchi amici: la “Souther-Hillman-Furay band”, le cui canzoni venivano riprese ed esaltate (Prisoner in disguise) anche da una musa del country come Linda Ronstadt, all’epoca sua fidanzata.

Fino ai giorni d’oggi, ha centellinato le sue uscite discografiche (solo 5 dischi, in tutta la quarantennale carriera) e, ancora una volta, il singolo apripista del più recente cd degli Eagles, “Long road to eden” (2009), è una sua cover (“How long”), carpita proprio dall’omonimo disco d’esordio di cui sopra.

Ed eccoci arrivati a “Natural history”, che per i suoi fan rappresenta un regalo oramai insperato e realizzato, invece, un po’ a sorpresa, riprendendo le sue canzoni più belle (comprese ben 3 delle “Aquile”) e rileggendole in chiave “stripped down” e decisamente low tempo.

Il risultato finale è perfino superiore alle già ampie aspettative.

Basta sentire le prime note di “You’re only lonely” (a mio avviso la sua perla più preziosa) per sentire un brivido lungo la schiena. La melodia celestiale si fonde fra il suono del piano e della chitarra acustica ad un ritmo così rallentato, da risultare ancor più funzionale al dolce messaggio di colui che si mette a totale disposizione dell’amata, ogni volta che sentirà il bisogno di compagnia (won’t you ever be ashamed, you can call out my name, when you’re only lonely). Mozzafiato.

La “New kid in town”, citata all’inizio di questa recensione, fa impallidire l’originale, all’epoca cantata da Glen Frey, con un arrangiamento acustico spagnoleggiante che la rende fresca come una passeggiata ventilata al tramonto di una memorabile estate. Unica.

Così come indimenticabile finisce per essere anche “The sad cafè” (la ballata più sottovalutata del gruppo californiano) da “The Long run”, questa volta “rubata” a Don Henley, resa speciale dal suono di una tromba che la porta a volare verso vette mai esplorate prima. Capolavoro.

Sarebbe da citare ognuna delle 11 canzoni del cd, ma correrei il rischio di esaurire presto i sinonimi a mia disposizione, perché tutte, ma proprio tutte (l’iniziale “Go ahead and rain” da “Home by dawn”, ad esempio, è strepitosa, così come “Faithless love” da “Black rose”) meritano di essere godute senza alcuna remora, con la certezza di vivere emozioni speciali, pur non avendo (probabilmente) mai ascoltato l’autore prima di oggi.

Verrebbe da dire, lasciatemelo dire, “ma perché dischi così non ne fanno più?”.

Peccato solo che chi vorrà comprare questo compendio di “Storia Naturale” dovrà ordinarselo sul web o presso i negozi (i pochi che fortunatamente ancora esistono) che curano mercati di nicchia, ma d’altronde ciò contribuisce ancor di più a farne, già sin d’ora, una sorta di oggetto di culto, non per niente creato da “un fantasma” d’altri tempi.