Muon “Gobi Domog”, recensione
Onirica, visionaria e surreale. Così è la buona opera di cover-art che, intenta ad invitarci nel mondo allucinato dei Muon, prova a descrivere in scala di grigi decadenza, mashup e orrore. Ad occuparsi della copertina è LauraZoe, abile nel metaforizzare le impronte psych e i diagrammi occludenti del doom stoner proposto da questa (relativamente) giovane band.
Dopo alcuni inevitabili assestamenti nella line up, il quintetto arriva a debuttare sul mercato discografico grazie alla Karma Conspiracy Records, in grado di convogliare premonizioni apocalittiche, ermetismo visionario e violenza controllata. Prodotto da Phil Liar e registrato al Monolith Recording Studio di Vitulano, l’album si offre l’ascoltatore attraverso un groove riuscito, a differenza di un booklet male impostato e frettoloso.
Un breve sampler di intro apre le gole profonde di Neverborn, in cui accordature ribassate e distorsioni iniziano a disegnare un ambiente occludente ed inquieto. Narrato da una costruzione sonora deviante e a tratti lisergica, la composizione di entrata mostra l’intento pittorico del quartetto, qui occupato a dipingere un lungo viatico in cui dilatazioni desert appaiono funzionali all’atmosfera narrativa di un brano in grado di avvolgere l’ascoltatore attento.
L’angoscia trainante e a tratti orrorifica mostra il proprio proseguo con la soffocante aria di Second Great Flood, che non fa altro che confermare l’entrata in un’opera degna di essere vissuta dal suo interno. Il tempo scorre pachidermico e dilatato tra i fotogrammi di questo Gobi Domog, sino al cospetto di una scala che ci condurrà verso un nereggiante mood assorto, in cui distorsioni e rimandi all’ultimo periodo di Quorthon mostrano la linea portante di una traccia magnificamente avvolta dalla non realtà.
A chiudere le imponenti composizione della band è, infine, l’evocativa e filmica The call of Gobi, in cui destabilizzanti colpi sulle pelli ricreano un’intensa preparazione finale definita dall’ansia e dall’attesa attraverso una ragionata sincrasi emozionale, pronta ad aprirsi verso gli spigoli di una narrazione che ha l’obbligo morale di perfezionare il proprio songwriting, rimanendo però fedele a questo tipo di sonorità (a mio avviso impeccabile) spinto da stilemi Sabatthiani e continui cambi direttivi… armi implacabili al servizio di una band che ha e deve avere un unico obiettivo: storicizzarsi sopra ad un mare di inutile banalità.
Tracklist
1.Intro (I Feel Doomed)
2.Never Born
3.The Second Great Flood
4.Stairway To Nowhere
5.The Call Of Gobi