Mozart – Concerto per pianoforte e orchestra n. 23, le migliori incisioni.
I concerti per pf e orchestra occupano un posto importante nella produzione del salisburghese: scritti prevalentemente nel periodo viennese, venivano presentati al pubblico nel corso di accademie per sottoscrizione con lo stesso Mozart in veste di esecutore.
Questo garantiva a Mozart una sicura entrata nel difficile periodo della libera professione e gli permetteva di comporre i concerti secondo la propria ispirazione, essendone egli stesso l’esecutore. Non aveva quindi bisogno di conformare la scrittura alle doti e caratteristiche di altri pianisti, ma il discorso musicale poteva riflettere fedelmente il pensiero musicale dell’autore, senza alcun tipo vincolo. E questa libertà ha permesso al compositore di esprimersi in maniera autentica e profonda facendo dei concerti per pianoforte e orchestra una delle pagine più amate tra le sue composizioni.
Il concerto per pianoforte e orchestra n. 23 in La maggiore K 488 fu composto per le Accademie Viennesi della Quaresima del 1786, assieme al Concerto n. 24 in Do minore K 491.
Tra i concerti di Mozart, questo è forse il più amato e contende al K 466 la palma del più eseguito. A differenza dei concerti precedenti, si contraddistingue per il carattere più contenuto, sia dal punto di vista dell’espressione virtuosistica (molto meno spinta rispetto ai concerti precedenti), che da quello della ricchezza strumentale: l’organico, infatti, si limita solamente ai flauti, clarinetti, fagotti e corni.
Il primo tempo (allegro) ha un grande respiro sinfonico e raggiunge vertici melodici di rara bellezza costituiti da temi che una volta ascoltati non possono essere dimenticati. Il pianoforte solo, introduce l’adagio il cui tema ha nuovamente carattere di eccezionalità. Tutto il movimento è terso ed altamente espressivo. L’allegro assai è un continuo rincorrersi tra solista ed orchestra, un vortice di suoni che conclude mirabilmente un’opera di assoluto valore.
Personalmente amo questo concerto perché lo percepisco autentico; è come se Mozart, in un momento di intimità, avesse lasciato intravedere il dramma che lo ha accompagnato negli ultimi anni della sua vita per poi tornare a nasconderlo dietro una cortina di formale allegria.
Questo concerto è stato eseguito praticamente da tutti i pianisti più famosi, accompagnati da direttori altrettanto famosi ed è difficile districarsi tra le innumerevoli incisioni oggi disponibili.
C’è da dire che il livello di tutte le esecuzioni è elevatissimo ed è difficile stilare una classifica di merito; è però anche vero che tra un’esecuzione e l’altra esistono differenze marcate che possono guidare le nostre preferenze verso una piuttosto che un’altra. Di seguito cercherò di dare alcune indicazioni su quelle che a mio parere sono, tra le esecuzioni in mio possesso, quelle più interessanti.
Brendel – Marriner (Philips)
1° tempo: C’è grande affiatamento tra orchestra e pianoforte con un elevato senso del ritmo. Esecuzione aggraziata e delicata, a cavallo tra neoclassico e romantico. Il tocco di Brendel è leggero e preciso.
L’Academy è nel suo periodo migliore, e si sente; i contrasti dinamici non sono mai esasperati, ma estremamente controllati. La sonorità del pianoforte è resa in modo eccezionale.
2° tempo: inizio triste e grave con un accompagnamento dell’Academy dopo la prima frase del pianoforte denso e struggente, bellissimi gli archi bassi. In complesso però l’impressione che ne ricavo è più di una tristezza di maniera che non un dramma vero.
3° tempo: torna come il primo tempo, un’interpretazione che strizza l’occhio al neoclassicismo, formalmente corretta, allegra e direi anche giocosa.
Pollini – Bohm (Deutsche Grammophon)
1° tempo: I tempi sembrano subito più lenti; è un’esecuzione che strizza l’occhio al romanticismo. I contrasti dinamici, pur rimanendo controllati, sono più marcati; anche il tocco di Pollini è più deciso, secco, virile.
L’orchestra di Vienna è stupenda, specialmente negli archi, con un Bohm in grande forma.
Tutta l’esecuzione è pervasa da una autunnale malinconia.
2° tempo: inizio lento col pianoforte che sussurra le note. Anche l’orchestra entra lenta, triste, struggente, con il suono lamentoso dei violoncelli spettacolare. Sento in questa esecuzione disincanto; anche nei momenti meno tristi rimane un fondo tangibile di dolore profondo. L’identità di intenti tra orchestra e pianista è completa.
3° tempo: ritorna vivace, quasi a voler far dimenticare il secondo tempo e l’interpretazione riprende sulla falsariga del primo movimento.
Abbado – Serkin (Deutsche Grammophon): è una interpretazione particolare, che si discosta nettamente dalle altre, profondamente romantica
1° tempo: I tempi sono decisamente più lenti, con pause molto più marcate, specialmente nei momenti di piano solo. Anche le variazioni di ritmo sono più evidenti che nelle altre esecuzioni. Il pianoforte è meno distinto dall’orchestra ed in certi momenti ne viene un po’ sovrastato.
Serkin è molto espressivo e carica di significato ogni nota; a questo proposito si faccia riferimento al modo in cui suona la cadenza..
2° tempo: pianissimo e lentissimo: questi sono i due aggettivi che mi vengono in mente. Tutto è trattenuto in un’atmosfera di sconsolata tristezza. Forse è più drammatica l’orchestra nel disco con Bohm e Pollini, ma qui Serkin è stupefacente e a mio parere grandissimo. Meraviglioso è il pizzicato che chiude il movimento.
3° tempo: Questo movimento è eseguito sempre piuttosto lentamente, ma in modo più convenzionale. Viene privilegiata l’espressività al ritmo; non c’è l’atmosfera giocosa di Brendel, ma è una esecuzione più austera.
Murray Perahia In questa registrazione, Murray Perahia è sia pianista che direttore della English Chamber Orchestra
1° tempo: Delicatezza, gioia e freschezza. Queste tre parole esprimono tutto di questa splendida edizione. L’entrata del pianoforte è dolcissima e delicatissima; tra solista e formazione orchestrale c’è un equilibrio perfetto con contrasti dinamici sempre controllati, ma tutt’altro che noiosi o stucchevoli.
Il tocco di Perahia è stupendo per precisione, naturalezza, vitalità e fluidità.
2° tempo: Veramente bello l’inizio con l’assolo di pianoforte. Il tono è triste, ma più che di dramma, parlerei di una profonda e infinita malinconia, espressa senza mai urlare, ma con dolcezza.
3° tempo: l’esecuzione del terzo movimento è sulla falsariga dei primi due: una continua aggraziata rincorsa tra pianoforte e orchestra.
Tutta l’esecuzione è più settecentesca che romantica, eseguita con piglio leggero, fresco e niente affatto stucchevole. Eccezionale
Oltre a queste esecuzioni segnalo anche Horowitz-Giulini, che danno del concerto una lettura per certi versi simile a quella di Pollini Bohm; una bella edizione con strumenti d’epoca con Demus ed il Collegium Aureum per la Harmonia Mundi, interessante anche se occorre fare l’abitudine al diverso suono dello strumento d’epoca, a cavallo tra un pianoforte moderno e un clavicembalo e, per gli amanti del Jazz, l’edizione particolare di Jarrett, peccato che sia accompagnato da un’orchestra non all’altezza e la registrazione non sia delle migliori.