Mory Kante – Sabou
E’ veramente un bel periodo per la musica africana. Sabou è il primo disco interamente acustico di Mory Kante dai tempi di Yeke Yeke, il singolo contenuto nell’album Akwaba Beach (Barclay, 1987) che spopolò nelle discoteche di tutto il mondo e vendette milioni di copie. Perché un disco acustico? Come è spiegato nelle note di copertina, semplicemente perché i suoi fans lo richiedevano a gran voce. Finalmente è arrivato il tempo in cui gli artisti africani non devono più cambiare linguaggio per farsi comprendere ed apprezzare ampiamente nel mondo.
Mory Kanté è figlio di griot. Il leggendario chitarrista Manfila Kante e il virtuoso della kora Djeli Moussa Djawara sono suoi fratelli. E’ nato nel nord della Guinea, ma ha avviato la sua attività artistica a Bamako, dove si trasferì presso la zia Manamba Kamissoko, una delle cantanti della Ensamble National du Mali. A Bamako fu presto attratto dai nuovi stili musicali, tra cui l’Apollo, uno stile dance in voga durante gli anni ‘60.”Mentre suonavo l’Apollo mi preparavo all’iniziazione come griot, che vuol dire l’apprendimento della tradizione orale, ed è molto densa. Quindi, nello stesso momento stavo ricevendo l’iniziazione alla musica progressive e ai segreti del griotismo” (Dalle note di copertina di Sabou).
A 21 anni entrò a far parte come chitarrista e balafonista della Rail Band, l’orchestra alla dipendenza delle Ferrovie, che suonava in pianta stabile al buffet della stazione di Bamako. In quella stessa orchestra era primo chitarrista il virtuoso Djelimadi Tounkara, mentre Salif Keita ne era il cantante solista. Poco dopo l’arrivo di Mory Kanté, Salif Keita lasciò la Rail Band e formò, assieme al fratello di Mory, Manfila Kanté, Les Ambassadeurs du Motel, un’orchestra che fu rivale della Rail Band per molti anni a venire.
I migliori balafonisti vengono dalla Guinea, mentre i migliori suonatori di kora vengono dal Mali e dal Gambia. Mory Kanté conosceva il balafon, ma a Bamako imparò a suonare la kora, che diverrà il suo strumento principale. Quando nel 78 lasciò la Rail Band si trasferì dapprima ad Abidjan, in Costa d’Avorio, e poi a Parigi. Nel corso della sua carriera solista il successo crebbe fino a raggiungere l’apice di Akwaba Beach, che avvenne casualmente lo stesso anno in cui Salif Keita otteneva un successo analogo con l’album Soro. Mory Kanté non aveva fatto altro che amplificare la sua kora e appoggiare gli elementi tradizionali della sua musica su una base funky costituita da batteria elettronica, basso e percussioni. Spettacolare, non c’è dubbio, ma oggi, dopo 17 anni, ha finito per stancarci. Ed ecco finalmente Sabou, uscito – ancora casualmente – solo un anno dopo Mouffou, il lavoro acustico di Salif Keita.
Sabou è il miglior disco di Mory Kanté che io conosca. E’ completamente acustico, con l’eccezione del solo basso elettrico suonato dallo stesso Kanté in alcuni pezzi. Oltre a cantare, egli suona la chitarra, la kora, il balafon di accompagnamento, il bolon (basso acustico tradizionale), e vari strumenti a percussioni tra cui il calabash e i doundoun basso, medio e alto, manifestando il suo talento di polistrumentista. Accanto a lui alcuni musicisti straordinari, a partire dalle coriste Mariamagbe Mama Keita e Hadja Kouyate, quest’ultima protagonista di un recente album solo pubblicato con la Frikyiwa, l’etichetta del DJ francese Frederic Galliano. Tra i numerosi percussionisti Mohamed Alpha Camara alle congas, Mohamed Bangoura al djembé e Makan Sissoko al tama (talking drum). Sfavillanti sono Babagalle Kanté al flauto africano, presenza costante in tutti i brani, ma soprattutto Moriba Koita al n’goni e Adama Condé al balafon. Questi ultimi, tra i più straordinari virtuosi guineiani dei loro rispettivi strumenti, hanno suonato con i maggiori artisti mandengue, tra cui Salif Keita, Kandia Kouyate e Sekouba Bambino Diabate.
Gli arrangiamenti pongono al centro della musica gli intricati e poderosi disegni poliritmici dell’imponente sezione ritmica, fondata sui tre tipi di tamburi bassi e il bolon, ai quali si affiancano congas, djembé, calabash e piccole percussioni. A completare il tappeto ritmico/armonico si aggiungono l’accompagnamento di kora, chitarra, balafon e flauto. Su tutto le splendide melodie delle canzoni di Mory Kante, la cui voce, meno drammatica e autorevole rispetto ad altri djeli ma anche meno ingombrante e totalizzante, si alterna al contrappunto dell’etereo coro femminile. In ogni brano non si può fare a meno di volar via sulle note degli assoli di Adama Condé al balafon.
Tra le canzoni di Sabou, alcune sono veri e propri pezzi di dance music nella più pura tradizione a cui ci ha abituato Mory Kanté. Ascoltate Nafiya, la traccia 1, o Mama, la traccia 3, e ve ne renderete subito conto. Che al posto della batteria ci siano i doundoun e le congas è solo un dettaglio che rende il suono più insolito e originale. Altri brani sono invece veri e propri capolavori di musica malinke, drammatici e pieni di poesia. Su tutti vorrei citare la traccia 2, intitolata Djou, il nemico. E’ un brano triste e intenso, e parla della fame. Mory Kante è già da qualche anno ambasciatore della FAO.
“Ovunque, non solo in Africa ma in tutto il mondo, Il peggior nemico è spesso la fame. Essa aspetta la madre con suo figlio, che cercano di scappare dalla guerra. Per chi è esiliato o rifugiato, procurarsi da mangiare è una costante preoccupazione. Il bambino chiede aiuto a suo fratello maggiore: ‘fratello maggiore, aiutami! Il nemico mi sta trascinando via.’ E il fratello gli risponde: ‘corri, corri, corri, e non fermarti. Dietro di te la guerra divora ogni cosa’. La fame interessa anche il patriarca della famiglia, che non può far nulla quando ode il pianto dei bambini. Per confortarli, li tiene stretti tra le sue braccia e li chiama per nome, e poi ancora, e ancora.”.
Mory Kante ci guarda dalle fotografie di copertina, il suo sorriso sereno trasmette in qualche modo lo spirito della gente africana, che anche tra le macerie cerca – e a volte trova – il modo di vivere la propria esistenza con leggerezza.