Momo Said “Spirit”, recensione
Immaginate di mettere nella medesima stanza Ben Harper, il Mike Patton degli esordi e Caparezza e vi ritroverete nel mondo di Momo Said, figlio di emigranti marocchini il cui cuore batte in levare e la cui capigliatura afro non lascia di certo impassibili. Cresciuto nelle Marche, il giovane artista, complice il suo carattere apolide e multilinguistico, insegue e realizza (finalmente) il suo Spirit, debut album di grande stile, incastonato tra il soul, il reggae e i movimenti acustici alternativi. Il suo agire, semplice e diretto, non sembra voler arrampicarsi troppo in territori alternativi, ma al contrario sembra volersi vestire in maniera “popular”, riuscendo a non perdere quasi mai la bussola del sapore.
Le undici traccedel disco conquistano l’ascoltatore sin da subito, attraverso un chiaro e ben definito carattere espressivo, tra peculiarità compositive ed una linea vocale piacevole e delicata, in grado di esporsi sul davanzale del viaggio intrapreso. Un percorso stilistico che non dimentica il folk, il funk ed il beat, mostrando una fluidità genuina nel suo esporsi.
Il disco la cui imbarazzante cover art ricorda il Sereno èdi Drupi, raccoglie a sé la partecipazione di molti musicisti quali Tommy Graziani, figlio d’arte alle pelli, i Fratelli Costa agli archi e Benny Pretolani, in uscita guidata dai GoodFellas. Se a questi aggiungiamo l’ukulele di Enrico Farnedi, l’apporto di Federico Lapa e Pasquale Mirra, vi renderete conto che la strutturazione di questi abbondanti 40 minuti di musica rappresentano il concepimento accorto di un ideale ben preciso.
Ad aprire le emozioni editate dalla Tam Tam Records è la titletrack, che, tolto l’ingombrante falsetto iniziatico, dona le prime sentite emozioni, reimpostate poi dal sincopato andamento di Close my eyes, il cui spigoloso Harper style ben si confà alla back voice di Doktor Zoil. Se poi con War is over si lambiscono piacevoli sensazioni anni ’60, con la potenziale hit Father’s love, l’ukulele si mescola all’inattesa anima post grunge, pronta a richiamare i Faith no more più armonici, prima di virare sulle onde reggae di Seeds e sulle tonalità stoppate di Loohide, che similmente a Met on phone ci avvicina al mondo di John de Leo. Proprio da qui si riparte con sostenuti passaggi funk ben allineati alla poeticità musicale che il brano espone con solarità di un artista dal radioso orizzonte.
TRacklist
1. Spirit
2. Close My Eyes
3. Father’s Love
4. Wild dirty and wrong
5. War is over
6. Seeds
7. Loohide
8. Met on phone
9. Heloise
10. Stardust in the wind
11. Agnese