Mindcrime “Checkmate the king”, recensione
Da pochi giorni la Red Cat Records ha dato alle stampe Checkmate the king, interessante full lenght dei capitolini Mindcrime, combo d’esperienza che, abbandonate le vesti di tribute band, ha dato inizio ad un nuovo ed inedito sentiero. Un viatico caratterizzato da riff heavy, drum set grezzo e minimale, intercalato tra una linea vocale pulita e tipicamente hard, che si appoggia su di una concezione armonica in Old School Style, qui alle prese con il mondo heavy più classico, proprio come attesta la struttura di Stormchild. Infatti, il brano d’apertura sembra volerci trascinare sui canali espressivi degli anni ’80, non solo grazie a riff tipicamente sui generis, ma anche mediante l’utilizzo di una linea vocale che, partendo dal decennio precedente, arriva a convivere con l’evoluzione della Nwobhm.
Senza troppi dubbi, il punto focale della band pare essere proprio la figura di Bruno Baudo, i cui rimandi chiari a Joey Tempest e Tony Martin ci invitano in un viaggio a ritroso, atto a rinverdire le sensazioni radicate sulle soglie degli anni ‘90.
Il disco non offre particolari spunti germinali, ma bensì un si assesta su di un ininterrotto viaggio nell’hard and heavy, tra acuti, echi e riverberi, che faranno la felicità degli attempati rockers, fans di Queensryche, Dokken e Savatage. Proprio da questo trittico magico sembrano arrivare i Mindcrime, dediti a sonorità legate al recente passato; infatti i tentativi di conciliare le classiche sonorità con le nuove tendenze, non appare una reale urgenza narrativa del quintetto, abile nel mostrarsi sotto l’egida degli stilemi fedeli alle attese. Brani come Until the twilight comes dimostrano come le strutture deja ecù riescano a restituire una ventata di inattesa freschezza. Una sorta di ritorno al futuro, in cui, tralasciando alcuni backvoices perfettibili, ci si ritrova in un habitat che potrebbe aprire alle nuove generazioni orizzonti sul nostro fervente passato.
Tra i brani più interessanti sembra emergere Life on run. La traccia, introdotta da un rombo di motore, si allontana dal suono inquieto delle campane, per lasciare posto al veloce attacco su cui si inerpica la voce del frontman, ingegnoso nel ridefinire i cambi di direzione, qui improntati su di una sonorità interessante nel rallentamento espressivo. Sul medesimo orizzonte si pongono le note di Pahts paved with gold, curiosa e riuscita ballad minimale che, tra easy listening e facilità armonica, si contrappone alle spezie più arzigogolate di We Were dreaming; traccia che riesce a definire un dialogo tra le chitarre, sviluppando un caratteristico sapore hard, fortificato da accordi stoppati, pronti a ridefinirsi più volte su sonorità diluite.
A chiude il nuovo platter è infine You always believed in me, i cui rimandi iniziali ai primi Skid Row maturano verso un riffing pieno e coinvolgente, la cui facilità di impatto si amalgama alla ricerca di virtuosismo e ai continui cambi direzionali, intersecati da sampler e voci filtrate, pronte ad aprirsi all’interesse di chi, da sempre, ascolta heavy.
Tracklist:
01. Stormchild
02. Betrayed Him Again
03. Flying In The Wind
04. Until The Twilight Comes
05. Once Upon A Day
06. Life On The Run
07. Spell You’re Under
08. War In The Name Of Peace
09. Paths Paved With Gold
10. We Were Dreaming
11. You Always Believed In Me