Metallica – St. Anger. recensione
“Se non avessi avuto la musica probabilmente sarei dove siete voi, o meglio, forse non ci sarei proprio”.
La frase non proviene da nessun grande filosofo. Il metal può essere, infatti, una sorta di filosofia perché i suoi testi restano in testa e perché chi lo suona sta precisamente “dentro lo strumento”. Al giorno d’oggi è difficile credere che un musicista abbia una passione così intimistica per la sua ragione di vita, eppure, in moli artisti del passato ( vicino o lontano ) e in determinati generi è decisamente facile trovare chi davvero ha voglia di comunicare qualcosa al mondo intero senza chiedere nulla in cambio, tranne l’esperienza di essere vivo.
Come è possibile capire il ragionamento, anche essendo lontani da tale mentalità o dal processo creativo dell’artista? La risposta è semplice: trovare un album che sia un diario di esperienze e che racconti l’essenza della parola “metallo” e tutto quello che ne deriva. Molti credono che il genere metal tratti solo di droga, alcool e del diavolo e, in molti casi, è così, ma l’ignoranza regna sempre sovrana in molti di noi, poiché tra quegli assoli di chitarra si nascondono gli anagrammi delle parole passione, depressione, intimità ( con se stessi ), giustizia e forza; quest’ultima è intesa in tutte le sua sfaccettature: il non mollare, il non lasciarsi andare alle tentazioni, il non auto distruggersi. Ergo, le componenti fondamentali dell’album diario più difficile dei Metallica: “St. Anger”.
Erano ben presenti, già nella lavorazione dell’album “…And Justice For All”, dei contrasti all’interno dei Metallica che intralciavano il loro processo creativo. Fu l’abbandono del bassista Jason Newsted a creare un iniziale punto di non ritorno, poiché, dopo quell’episodio, la band fu più volte sul punto di sciogliersi. Molti furono i contrasti tra il batterista Lars Ulrich e il cantante James Hetfield, i quali, però, decisero di iniziare a scrivere un nuovo album nel 2001, ovviamente aiutati anche da uno psicologo che controllasse e aiutasse a riconciliare i membri della band. Nacquero solo i primi tre pezzi ( Frantic; St.Anger; Some Kind Of Monster ), ma il progetto fu interrotto a causa della riabilitazione di James per i suoi problemi con l’alcool. Le cose andavano peggiorando, ma nel 2002 la “pecorella smarrita” tornò per mettersi al lavoro e i Metallica riuscirono a uscire dalla loro parabola discendente anche grazie alla venuta del nuovo bassista, il degno successore del defunto Cliff Burton ( uno dei primi componenti dei Metallica ): Robert Trujillo, già ben esperto poichè aveva suonato con Ozzy Osbourne.
L’intero “St. Anger”, infatti ( insieme al film/documentario “Some Kind Of Monster” di Joe Berlinger e Bruce Sinfosky ), ripercorre, come un diario, i momenti pessimi e migliori di una band che sembrava ormai al capolinea. “Frantic”, oltre a parlare dei problemi dell’alcool e di come la vita e la morte siano sinonimo di dolore ( espressioni di alcuni proverbi buddisti professati da Kirk Hammett, la chitara solista ), indica anche la frenesia nel dover cercare qualcosa ( probabilmente riferito al bassista, figura ben presente anche nelle parole di “Invisible Kid” ). “St. Anger” ( il cui video fu girato nella prigione di San Quentin ), invece, tratta dell’elemento fondamentale della band americana: la rabbia, probabilmente molto repressa in quel periodo, poiché considerata non necessaria. Questa tesi può essere confermata dal brano seguente, “ Some Kind Of Monster”, il quale accenna al loro produttore ( Bob Rock, che non avrà più occasione di produrre altri cd dei Metallica e suonerà con loro per alcune prove in studio ), visto da James come un moderno Frankenstein., ma sarà proprio il vocalist ad essere, invece, oggetto d’esame per il brano “Dirty Window”, dove si procede in una lunga analisi di se stesso allo specchio ( probabilmente riferito al momento della decisione di ricoverarsi ). Quest’ultima, può tranquillamente collegarsi a “Purify”: l’idea di liberarsi o da solo o, meglio, tutti insieme. La purificazione, però, sembra essere anche da parte di un elemento estraneo che cerca di essere troppo invadente ( “My World”; un probabile riferimento allo psicologo che, alla fine delle sedute, non voleva allontanarsi ) o da quel sentimento indistinto di depressione e tristezza che rendepaurosa qualsiasi cosa al di fuori del cerchio “familiare” ( The Unnamed Feeling ). Questo, comunque, può essere debellato solo con l’uso delle mani ( All Within My Hands ), le sole e uniche armi contro i nemici invisibili. Dall’elenco possono essere considerate come un tutt’uno le due “Shoot Me Again” e “Sweet Amber”, poiché riguardano, più o meno, lo stesso episodio: la prima ( scritta da Lars Ulrich che si accaparrò le antipatie di molti ) è riferita alla lotta contro Napster ( sito di download musicale illegale ) e dallo sfruttamento delle campagne pubblicitarie nei confronti delle band, le quali ti pugnalano se non fai come dicono.
L’album non fu ben accettato dai fan, i quali, già delusi dal “Black Album”, videro completamente cambiato, stavolta, il sound della band privo di assoli di chitarra, ma vivo dello stile trash che lo contraddistingueva. Da notare i riferimenti con “Master Of Puppets” e “Ride The Lighting”, i quali sembrano iniziare con lo stesso inizio a livello di ritmica , soprattutto, le title-track si trovano sempre alla seconda traccia. Si nota decisamente, lungo tutto il progetto, che le canzoni sono state scelte con molta cura e ci si è lavorato molto nonostante la carenza d’idee ( ben espresse nel brano “St. Anger”, ma anche in altri, dove molte frasi vengono ripetute ). Diversa è la voce di James che tenta di cercare nuove tonalità ed infatti, secondo alcune indiscrezioni, si dice che il cantante abbia preso delle lezioni per migliorare le sue performance sul palco, visto che durante l’ultimo tour perdeva la voce già alle prime due canzoni.
L’album venne registrato in parte in una ex base militare della Bay Area, chiamata il “Presidio”, che serviva a ricreare il sound di una band che suona dentro una cantina, tanto per dare un impatto più sperimentale all’album e per siglare un ritorno alle origini. Tale collegamento è dato acnhe dalla copertina, fatta dalla Pushead, che aveva già collaborato con i Metallica per la copertina dell’album “…And Justice For All”.
Può un album raccontare una storia? Decisamente sì. Questo racconto parla del metal e di come quell’unica passione sia riuscita a tenere insieme tre persone che, tutt’ora, non hanno intenzione di scomparire dalle luci della ribalta. “St. Anger” non sarà l’album migliore dei Metallica, ma è sicuramente il più sentito dalla band.
Da avere per chi ama “studiare” la carriera di una band attraverso le tracce di un cd.