Metallic taste of blood,”Metallic taste of blood”, recensione
In questi 15 anni di musica, mi sono reso conto che ci sono artisti alternativi che, al di là di ciò che propongono, possiedono una carica espositiva musicale davvero rara, capace di raccontare eventi attraverso la nobilitante arte delle note scritte, riuscendo a smembrare i sette suoni in maniera poligonale, partendo da linee rette sino a deformanti percorsi a tratti piacevolmente caotici.
Tra questi artisti non posso che citare Xabier Iriondo, Bruno Dorella e Eraldo Bernocchi, che arriva alle nostre orecchie con il nuovissimo lavoro dei Metallic taste of blood, miscela rugginosa in sinergia con Colin Edwin, Balaz Pandi e Jamie Saft.
Una mescolanza ferrosa che forse non sarà fondamentale per la nostra vita, ma di certo, attraverso i suoi stretti vicoli musicali, ci aiuta a trasportare l’ossigeno di quel sangue diretto ai centri del piacere, senza eccedere nella sua sostanza base.
L’album si appoggia proprio su una vasta serie di arrugginiti sapori, che travisano l’industrial per portarlo tra le braccia meccaniche del free, dell’avant jazz e delle note oscure che si fanno concrete proprio attraverso il gusto metallico di brani come Sectileome, impregnata di percussioni sintetiche, melodie ridondanti e sensazioni disturbanti, appostate su di un unica linea di tracciato che durante lo sviluppo del full lenght tende a cambiare direzione più volte.
I tasti isolati cadono in maniera accorata su di un andamento attento, riverso su di un jazz dalle note libere da ogni convenzionalità, per poi rivivere più volte e ritrovarsi lungo la strada maestra, tra micro storie che convergono in un unica direzione, spesso nereggiante ed inquieta, proprio come la corrosa cover art.
Questo debut altro non è che una discesa acustica che si fa dolce in Fist full of flies, in cui il battito cardiaco silente e scenografico accresce il pathos narrativo di stampo ambient, per poi trasformarsi in prog-carpenteriano in Maladaptive. I suoni divergono anche verso il freddo percepito, attraverso sonorità ingombranti, in un metodico e ipnotico dilatarsi di suoni diffusi, tra sensazioni gilmouriane, h&h e free.
Se poi con Schizopolis si genera un’anima cupa e amplificata, l’uso di note basse ci propone uno sviluppo inquietante atto a portare con sé un’esplosione controllata di rumorismo, assestato alla periferia di sensazioni condensate nell’apparente pacatezza di Transverse e Twitch, caratterizzata da una mescolanza curiosa protostoner elettrificato e sensazioni prog.
Un disco che similmente ad un collage d’autore mostra le sue poliedriche e cubistiche facce di sé, godibili appieno attraverso le immagini della nostra mente, che spesso sembra voler accogliere le sonorità nobili del disco come complesse epifanie delle paure inconsce, necessarie per una drammaturgia narrativa che si fa ciclotimica nel suo vivere sonoro, grazie a maestri come Colin Edwin convincente valore aggiunto di un combo davvero sorprendente.
Tracklist
1. Sectileome
2. Schizopolis
3. Glass chewer
4. Bipolar
5. Maladaptive
6. King cockroach
7. Crystals and wounds
8. Fist full of flies
9. Twitch
10. Transverse