MDNA – Madonna – Recensione cd
Madonna è “la dance”, per antonomasia.
Da quasi 30 anni Miss Ciccone ha costruito, album dopo album, la sua carriera artistica studiando parallelamente nei minimi dettagli la propria immagine, come nessuno ha fatto mai nella storia della musica.
Inevitabilmente, in tutto questo tempo, ha avuto musicalmente tanti alti (“True Blue” e “Ray of light” su tutti) quanti i bassi (“Music” e l’iperprodotto “Hard candy”, a mio personalissimo avviso), esplorando in lungo e largo ogni possibile suono in grado di animare il suo mondo: la pista da ballo.
Anche in questo nuovo disco, emblematicamente battezzato “MDNA”, la sua ricerca del ritmo perfetto è continuata ma all’interno dell’album emergono livelli qualitativi altrettanto altalenanti.
Piacevole, ad esempio, il pezzo iniziale “Girl gone wild”, nel cui testo viene toccato il tema a lei tanto caro (da dedicarci il disco “Like a Prayer”) come il desiderio – chissà quanto sincero – di redenzione. Il groove parte subito a menetta più ipnotico che mai e la mente viaggia facendosi ingabbiare dai mille tappeti di sintetizzatori sovrapposti gli uni agli altri.
Parte poi una doppietta non proprio esaltante “Gang Bang” e “I’m addicted”, nelle quali ostenta la sua passione per il ritmo forsennato, ma un po’ fine a sé stesso e che, sinceramente, le rende funzionali al solo orecchio dei dj più incalliti.
Ma appena iniziano le note di “Turn up the radio” l’orecchio capisce che la storia è già cambiata e la melodia prende il sopravvento. L’anima pop di Madonna domina e, seppure immersa in un mare di dance pompata, si viene trasportati in un vortice di loop così inebrianti che solo la sua “Jump”, nel recente passato, potrebbe eguagliare. Prima vera perla del disco.
Anche il singolo “Give me all your luvin’”, ormai noto pure ai sassi, è accattivante e radiofonico come le sue migliori hits. Inizia con quel coretto da cheer leader sulla falsa riga di Girlfriend (Avril Lavigne) ed ha un sound curato dalla testa ai piedi, compresa quella chitarra acustica che ogni tanto fa capolino nei suoi pezzi già dai tempi di “Don’t tell me”. Il rap finale è tutto per il mercato americano, non c’è dubbio, ma come biasimarla? Quello resta il suo pascolo principale ed è giusto che vi semini l’erba che più aggrada alle pecorelle locali.
Il video, autocelebrativo ed ironico, è tutto un programma.
Per ricominciare a godere ancora, è necessario sorvolare su alcune canzoni un po’ monocordi – difetto generale della dance più spinta – e raggiungere direttamente la seconda parte del disco dove ci si imbatte in una notevole “Love spent”. Le corde scandite di un dobro che la rendono sfiziosa (ah…le sagge mani di William Orbit!!!) e qualche eco di “Hang up” rappresentano il giusto mix.
La seconda perla arriva con “Masterpiece”, una dolce ballata midtempo che aspettavamo dal lontano 2003 (“Love profusion” da “American life” ), con richiami nientemeno che alla “Gioconda”, presa ad icona della bellezza, così eterna ma anche così inaccessibile. Il suo tempo rallentato non resta l’unica eccezione perché come ultima canzone “ufficiale” troviamo una dolce “Falling Free” mentre fra le bonus tracks spicca “I Fucked up” che inizia lentamente, per poi accelerare nel mezzo e frenare nuovamente nel finale. La canzone parla di una storia d’amore finita, piena di rimpianti ed è più che verosimile che Madonna si riferisca al naufragio del suo ultimo matrimonio.
Per chiudere, potendo darle dei suggerimenti per il futuro, consiglierei a Madonna di ripensare fortemente al suo estremismo danzereccio per dedicarsi con maggior fervore ai suoni più pop che in MDNA ha dimostrato di saper curare ancora con tanta classe, tiramndo su le sorti del disco. E spingendomi oltre, le proporrei volentieri perfino il nome di qualche produttore che permetterebbe di trasformare un suo prossimo album in un disco che ancora una volta possa lasciare il segno per sempre (credo proprio che a Mark Ronson staranno fischiando le orecchie).