Max Gazzè – Tra l’aratro e la radio
Oramai l’hanno capito in molti degli artisti che salgono sul palco di Sanremo che l’approccio più giusto al Festival è quello di sperare seriamente di arrivare bassi in classifica, da anni infatti la kermesse canora più “importante” d’Italia è lontana anni luce dalla musica vera, quella che passa nelle radio, quella che poi la gente ascolta e ricorda nel tempo, ma questa forse è un’altra storia.
“Il solito sesso”, brano presentato da quel grande musicista che è Max Gazzè all’ultima edizione del Festival, non è entrato neanche nelle prime dieci posizioni, e non si direbbe visti (e sentiti) i passaggi in radio. Leggenda narra che non sarebbe dovuto essere questo il brano da presentare alla competizione di quelli del nuovo album del bassista romano “Tra l’aratro e la radio”, Max aveva infatti pensato a “Siamo come siamo”, terza traccia del disco.
Il fratello Francesco (scrittore, poeta e co-autore di alcuni testi), vedendoci lungo, l’ha convinto a cambiare idea. Impreziosita dalla splendida esecuzione in trio con Marina Rei e Paola Turci (due grandi amiche di Max con le quali è andato in tour l’anno scorso), “Il solito sesso” è veramente un piccolo capolavoro. Una telefonata notturna tra due amanti, intrigante e delicata allo stesso tempo, su una base swing lieve e non forzata. Un ritornello che entra in testa al secondo ascolto (per non dire al primo), e punti molto alti di poesia.
Un ottimo brano che apre la strada ad un ottimo disco, dove le percussioni di Marina Rei e le chitarre acustiche della catanese Consoli fanno da tappeto rosso per divertissement linguistici, sperimentazioni nella più bella tradizione di Gazzè e sottili ballate.
Il disco si apre con “L’evo dopo il medio”, dove la capacità di scrittura del compositore Gazzè ci da subito un’idea di cosa sarà l’album, di cosa dovremo aspettarci, aspettative assolutamente confermate. Rock, la Consoli alla chitarra elettrica solo per questo brano e un gran bel testo: “La storia, ha sempre il suo risvolto la storia, un orlo un’ansa una tasca nella memoria”.
La seconda traccia è “Il solito sesso” che mi sembra di aver già pienamente lodato.
Il terzo brano è “Siamo come siamo”, forse una delle tracce più pop dell’album, più “orecchiabile” , senza che questo possa però sfociare in banalità o nel “già sentito”: “Il tempo ci costringe a fare misurazioni di calendari pendoli cronometri, c’è chi lo sfida chi lo teme e chi lo nega…e c’è chi francamente se ne frega”.
Il quarto è uno di quei brani che ti fanno confermare come positiva la scelta di aver comprato l’album, la prima (e forse unica) ballata, dal titolo “L’ultimo cielo”. Pianoforte e voce, testo intimista e ristretto fino all’osso, poche ma importanti parole, il tutto farcito da splendidi archi scritti da Gazzè e Clemente Ferrari: “L’ultimo cielo è dentro di me e mi riscopro più anima che uomo”.
Poi viene “Crisalide” che gli ammiratori del Gazzè più “complesso” e per questo affascinante ameranno molto, testo da seguire attentamente accompagnato da sintetizzatori che gli danno un’atmosfera molto indie: “Resterà un segno?un ricordo? di queste scorie di cellule umori e passioni, dell’ansimare tra coscienza e istinto…”.
La traccia numero sei è “Mostri”, testo scritto a quattro mani dai fratelli Gazzè, in un’atmosfera cupa e scura ma vagamente ironica: “Il demone a volte ce l’hai stretto agli occhi, fa le bocche storte e dalla gola caccia temporali secchi”.
Il brano successivo è “Elogio della sublime convivenza”, bellissima e semplice, ripulita da tutti gli artifici linguistici e sonori, solo pianoforte e percussioni, brano che si prende indubbiamente un posto d’onore in questo lavoro di Gazzè: “Quando verranno gli anni dei ricordi ci troveranno ancora uniti e forti, sereni per quel che noi siamo stai, per quello che saremo”.
La traccia numero otto è “Camminando piano”, una delle migliori del disco, uno dei testi più sinceri, sempre a metà tra quel impellente bisogno di Max di essere volutamente un po’ complicato, e quella sua capacità di sintonizzarsi così bene con i nostri pensieri: “Senza spiccioli di venti e piogge non si possono cambiare le bufere e i nubifragi”.
“Tornerai qui” è il brano successivo, racconto di un amore estivo, atmosfera delicata e leggera, con un bel refrain: “Eppure noi due rive opposte e vicine, due versi di rime…”.
La penultima traccia è “Il mistero della polvere (così in cielo come in terra)” , testo in cui Gazzè affronta il tema della piccolezza dell’Uomo (dell’umanità intera), della sua condizione di Essere legato alla terra, alla dimensione terrena e dei misteri che non avranno mai risposta: “Noi sudiamo corriamo ci alziamo e ricadiamo per terra e padre nostro o di nessuno sei nei cieli, ma verresti un po’ quaggiù su questa terra?”.
A chiudere il lavoro di Gazzè c’è “Vuoti a rendere”, uno dei più bei testi dell’intero album che immagino non sia stato scelto a caso come finale, è il punto di chiusura ideale per questo cerchio perfetto disegnato tra ricercatezza ed estrema raffinatezza nel linguaggio da un lato ed un’ampia diversità di suoni dall’altro.
Uno dei più bravi ed ancora poco apprezzati artisti italiani ci regala così un album vario ed elegante, che tocca alte vette di poesia ed intensità, per venirci a ricordare quanto sia importante l’uso delle parole e quanto sia necessario proporre alle nostre orecchie qualcosa di diverso dalle solite e francamente non più sopportabili rime “cuore/amore”.