Marc Ribot’s Ceramic dog – Party Intellectuals
Ci sono dischi che colpiscono al primo ascolto e altri che catturano nel tempo. Poi ci sono quelle rare eccezioni in cui l’impatto immediato riesce a prolungarsi e l’ascolto può regalare nuove emozioni ogni volta. Anche se uscito pochi mesi fa, “Party Intellectuals” dei Ceramic Dog di Marc Ribot può già far parte di questa ristretta categoria.
Chitarrista di carriera lunga e variegata, Marc Ribot ha contribuito alle fondamenta musicali di dischi di Tom Waits ed Elvis Costello ma è soprattutto un acuto sperimentatore ed un protagonista dell’avanguardia a cavallo tra jazz, fusion e rock. La sua carriera da solista si distingue grazie ad album in cui ha ridisegnato con le corde della sua chitarra, brani di Duke Ellington, di musica cubana, di musica classica, di John Zorn e di Albert Ayler, spaziando dal free jazz al post-punk, da gruppi a tre o più elementi a lavori dove è andato in studio da solo armato di plettro. La prevedibilità non è mai stata una caratteristica della sua arte, propensa invece a stupire e ad aprire nuovi orizzonti. Da evitare quindi per tutti coloro che si aspettano qualcosa di facile e di rassicurante o per chiunque si aspetti una formula sperimentata e ripetuta all’infinito.
Il CD si presenta in elegante e minimale confezione cartonata bianca con sfondo di sagome nere senza volto. Evidentemente questi sono i gli “intellettuali da party” a cui si riferisce il titolo. Una foto e poche note all’interno spingono a concentrarsi sull’essenza, cioè la musica incisa ad alto livello di qualità audio sul CD.
I Ceramic Dog sono in realtà un trio composto da Ribot alla chitarra, Ches Smith alla batteria (più percussioni e parti elettroniche) e Shahzad Ismaily al basso e moog.
L’impostazione del sound, seppur difficile da definire in una sola parola, è senza dubbio molto “rock”. Ma quando con rock si intende energia, aggressività, coinvolgimento. Perché di rock convenzionale qui non c’è traccia, come non ce n’è di qualche altro genere specifico. Piuttosto c’è un “melange” elaborato con stile, inteso da un ben preciso punto di vista che trova nella sua ecletticità anche il suo filo conduttore.
Emblematica la traccia numero uno, la cover dei Doors “Break On Through” rielaborata in chiave “noise rock” con la parte vocale che sembra provenire dallo spazio e la chitarra insistente e potente dall’inzio alla fine. Meno rumorosa ma ugualmente d’impatto è la title-track, fatta di ipnotici riff di chitarra e moog che vanno ad intersecarsi ad un grasso giro di basso con effetti di voce che condiscono il ritmo elettro-psichedelico.
L’album dimostra anche una profonda influenza kraut-rock con due pezzi dal groove totalmente differente tra di loro: la tranquilla “When We Were Young and We Were Freaks” è fatta di epiche atmosfere contraddistrinte dall’utilizzo di effetti elettronici ad accompagnare una sorta di testo raccontato più che cantato, fino all’escalation finale di rumori elettrici. “Digital Handshake”, invece è una strumentale di dieci minuti che parte con un morboso attacco di basso, pian piano riempito da assoli sempre più insistenti di chitarra elettrica spezzati a loro volta, nel bel mezzo del pezzo, da una parte elettronica estrema, come suggerisce il titolo, “digitale”, a ricordo di Kraftwerk, Cluster o persino Tangerine Dream. Anche la più breve “Fuego” gioca con l’elettronica ma lo stile in questo caso si avvicina molto al funk, grazie ad un giro di basso degno di Larry Graham, percussioni in evidenza e al suono sporco della chitarra di Ribot che si lancia in assoli spesso alternati al gran lavoro alle tastiere di Ismaily, perfette per accompagnare un refrain piuttosto orecchiabile.
“Girlfriend” è forse il pezzo che meglio riassume lo spirito del disco, con il suo testo dissacrante ed ironico su un rapporto complicato, adagiato su distorte chitarre in sottofondo che si rifanno ad influenze “space rock”, ma contrastate da una parte ritmica con molto groove, a tratti orientaleggiante, dando al tutto un’aria di strano equilibrio creativo e di grande originalità artistica. E se un pezzo come “Midost” conferma il trend di una tendenza allo spaziale con i suoi dieci minuti di strumentale che fanno l’occhiolino all’hard rock, l’album si contraddistingue anche per una manciata di brani più “tranquilli”. “Todo El Mundo es Kitsch” ad esempio è un pezzo dal ritmo sensuale e latino, ricorda il miglior Rick James con la classica batteria funky/soul e un coro al femminile che la rende una canzone quasi “da spiaggia” (ma non manca la chitarra elettrica a far da contrasto nel finale).Sulla stessa scia è “For Malena”, uno splendido stacco dal viaggio extraterrestre dell’album, dove spicca la fusione tra la delicata parte vocale e la musica fatta di chitarrina e da un sound che sconfina quasi nel folk mediterraneo. “Bateau” e “ShSh ShSh” invece sono la faccia pacata dell’essenza del disco, strumentali dallo stile sperimentale e progressivo che sarebbero potute tranquillamente appartenere al repertorio di gruppi quali Sigur Ros o Explosions In The Sky.
Quello che colpisce di più di questo lavoro non è soltanto la grande maestria con la quale vengono suonati tutti gli strumenti o la strabiliante vena compostiva e creativa del gruppo, ma è il modo in cui Ribot e soci riescono ad essere trasversali a diversi generi come sopra descritto, senza mai risultare forzati e permeando sempre il tutto con il loro suono, la loro firma. La perfetta produzione rende infine “Party Intellectuals” uno di quei lavori in cui l’ascoltatore non si stanca mai, dando la possibilità all’orecchio attento di crescere e di scoprire qualcosa di nuovo, di coinvolgente, di speciale. E per un album del 2008 è un traguardo non da poco.