Management del Dolore Post-Operatorio “I love you”, recensione
“No! non mi piacciono, accidenti! Non mi piacciono”.
Ecco cosa ho pensato la prima volta che ho ascoltato i Management del dolore post operatorio. Continuavo ad osservare il press kit, i comunicati stampa ed il disco. Leggevo e rileggevo quello straordinario monicker. Geniale…si geniale. Non può non piacermi. Così, memore del fatto che nella mia vita al primo ascolto neppure i Motorhead e David Bowie mi piacquero, ho deciso di ascoltare questo I Love you per una settimana consecutiva…ora non ne posso più fare a meno.
Questo terzo album della band, infatti, raccoglie a sé esperienza e volitività (ispirata da Marco Ferreri), racchiuse in uno spirito letterario intercalato tra indie, punk rock e discrepanze sonore. Una piccola perla nascosta, forse ancora grezza e disorientata, ma senza dubbio una convincente alternativa, coraggiosa e priva di compromessi espressivi ( Il campione di sputo), ancorati a citazioni curiose e cauto ermetismo.
Un album surreale e folle che si offre all’ascolto mediante sviluppi armonici, che pur non sempre in linea con l’easy listening, riesce a modulare le venature poetiche di Wislava Szymborska con l’impostazione sincopata de La patria è dove si sta bene, dalla cui partitura si giunge ad una reale sinergia tra la profondità ritmica e gli sguardi crudi di testi espliciti, pronti a celarsi dietro sintomi ermetici, scomposti e fuori linea. Un’avvisaglia post punk raccontata da una originale linea vocale, soffusa, graffiata e melanconica in cui una sottile aurea “Tricarico” va a sposarsi con sentori bughiani, pronti a nascondere l’abbraccio tra un cantautorato indie e una sei corde spogliata e grezza. Una diretta ingenuità espositiva che bilancia al meglio un songwriting deflagrante, disorientato e privo di banalità.
A dimostrazione dell’arte visionaria (Scimmie) e teatralizzata (Vieni all’inferno) viene a mostrarsi l’anima punk rock dai contorni indie, che sembra riportare l’orologio indietro di due decenni. Un viaggio oscuro, posto tra le gradazioni di grigio, raccontate da Le storie che finiscono male, in cui istinti Rino Gaetano si deformano per affrontare la sei corde in battere, che sembra emergere dall’alternative italiano degli anni’90. Il brano straordinario si presenta come tra i momenti più alti del disco, al pari di Per non morire di vecchiaia, in cui il calore della bass line delimita il riff portante, pronto a sopravvivere a cambi direzionali ed intuizioni in grado di avvicinare i Punkreas degli esordi al Vasco Rossi più scomposto.
Se poi con Il primo maggio l’impostazione sonora e i controcanti ci portano i un territorio Calafuria, con Il mio giovane e libero amore, si viaggia nell’anarchia del 1921, per poi volgersi verso la chiusura di Lasciateci divertire, danzante sentiero dell’incoerenza, specchio arguto di un mondo senza senso, in cui la band vive e sopravvive raccontando con accorto e cinico sarcasmo una realtà osservata e sorprendente.
Tracklist
1. Se Ti Sfigurassero Con L’Acido
2. Scimmie
3. Vieni All’Inferno Con Me
4. Scrivere Un Curriculum
5. La Patria E’ Dove Si Sta Bene
6. Le Storie Che Finiscono Male
7. Il Primo Maggio
8. Per Non Morire Di Vecchiaia
9. Il Mio Giovane E Libero Amore
10. Il Campione Di Sputo
11. Lasciateci Divertire