Malet Grace – Malsanity
Trovo curioso personalmente, dopo aver lasciato Latina per andare a vivere nel nord d’Europa, ritrovarmi fra le mani quasi per caso un disco di Heavy Metal dall’esplicito titolo “Malsanity”, nato e concepito proprio nel cuore della mia terra pontina. Questa “creatura” dal sound particolarmente duro (in effetti non ricordo di aver mai recensito un disco dal suono così potente, prima d’ora) è frutto del talento di quattro musicisti, i Malet Grace che nell’arco di circa due anni hanno fortemente voluto assemblare un concept basato su un tema complesso – di natura filosofico/psicanalitico – come quello della “disgregazione dell’io”.
Già la bellissima copertina, disegnata da Matteo Spirito, ritraendo figure fra l’angelico e il demoniaco, misto di forza e fragilità, paura e speranza, dannazione e salvezza, in qualche modo agevola l’ascoltatore nel predisporsi all’ascolto – non certo per tutti i palati – di un album che unisce una particolare cura dei testi a virtuosismi strumentali da parte di ognuno dei protagonisti.
A livello vocale lo standard è melodico ed orecchiabile mentre in alcuni casi il cantante Giampoalo Polidoro, dotato di un’estensione notevole, fa uso di tecniche come growl o scream che, normalmente, non mi fanno impazzire ma che in questo caso vengono dosate al punto giusto, senza rischiare di inondare i vari brani.
Il primo pezzo che ha dato inizio al progetto, piazzato in realtà nel mezzo dell’album, è “Egopathy” e sintetizza al meglio la crisi dell’uomo tormentato dall’incapacità di comprendere il male che è dentro di sé. La conseguenza è la sua stessa negazione, quasi per autodifesa, senza che ciò lo renda immune dalle conseguenze di questa tempesta psicologica che lo attanaglia e dalla quale non riuscirà a liberarsi, portando a scagliarsi anche contro chi lo circonda. Questo combattimento interno fra bene e male, come detto, connota ogni singolo brano, come ad esempio quello che porta il nome della band dai versi altrettanto inequivocabili (“never call me with the same principles of ideas…cause the face of schizophrenia is all around”) o come “Chaos is my order”, che alterna parti leggermente sussurrate ad altre più esplosive. Insanabile e continua dicotomia, su tutta la linea, in un episodio veramente straordinario a livello estetico e nel quale si registra l’ulteriore apporto del bravissimo chitarrista Marco Fanella.
Da parte loro, in tutto “Malsanity” sia Alessandro Toselli che il succitato Polidoro non si risparmiano un secondo in assolo e riff a velocità tipicamente trash. Non si può non citare la macchina da guerra, che impone ritmi frenetici al disco, messa su dai due Andrea del gruppo (batterista: Giovannetti e basso: Paglierini) e in generale l’affiatamento tangibile che emerge fra i vari componenti. Alcune canzoni sono state arricchite da brevi pezzi acustici (chitarre a cura di Paglierini in “The Pleasant Charm of memories”) che sicuramente spezzano la furia dominante e a mio avviso contribuiscono a dimostrare che i Malet Grace, pur non avendo firmato per una major, avrebbero tutte la carte in regola per giocarsi le proprie chance al tavolo dei grandi.
Sinceramente glielo auguro, perché questo disco non potrà deludere gli amanti di questo genere, mai avaro di piacevoli sorprese.