Magar “Capolinea”, recensione
Dopo aver analizzato Capolinea dei Magar mi sono chiesto perché non dovrei aspettarmi di ascoltare la band nelle radio generaliste. Sarebbe un successo per la musica intesa nell’accezione più ampia del termine. Sarebbe iniziare a credere che possa esiste qualcosa oltre ai talent, alle maniglie d’oro e alla mediocrità.
So che non accadrà mai e probabilmente lo sanno anche i Magar.
Registrato e mixato da Michele Guberti presso il Freedom Recording Studio, il disco piacevolmente rappresentato dall’astrattismo fluido-dinamico di Ilaria Passiatore, ha inizio con una risuscita aria impolverata e delicatamente cadenzata, posta tra il mondo pop e quello rock in cui, come dimostrano le impronte sonore di Gratitudine, ritroviamo un evidente influsso Tarm, sia nelle impostazioni sonore, sia sui confini della linea vocale.
Fondamentalmente popular (Non è semplice), il disco fa leva su calibrati cambi direttivi, in cui gli ammalianti cromatismi della voce narrante di Andrea Careddu fungono da elemento cardine al servizio di un songwriting costruito con accortezza, così come dimostra la melanconia espressiva di Vorrei fossi qui.
Il disco, nato dalla sinergia tra Alka Records, Massaga produzioni e Frs, sembra segnare la nascita di una nuova pagina narraiva, pronta ad aprire lo sguardo alle note ipnotiche de Le mie orge,composizione in cui le toniche della quattro corde offrono binari espressivi e distorsione reiterata, qui posta in un’attesa di natura danzante che lascia un unico rammarico: quello di vedere il viaggio dei Magar finire solo dopo quattro canzoni… ma so che questo “capolinea” non è altro che un punto da cui ripartire a breve.
Tracklist:
01 Gratitudine,
02 Non è semplice,
03 Vorrei che fossi qui,
04 Le mie orge