Ludmilla Spleen
Tornare dall’estate e rituffarsi nella musica.
Ascoltare 50 dischi in poco più di 10 giorni.
Annoiarsi… Forse no.
Uno sguardo si posa sugli ultimi arrivi. Un digipack opaco. Un bianco e nero da osservare, capire, interpretare. Ecco finalmente un disco di cui invaghirsi per davvero a patto di riuscire a percepire la musica come un mezzo di espressione… libero di dare voce a quel mondo folle, rumoroso e visionario che ci disegna quotidianamente il nostro habitat.
Oscuro, nerboruto e indefinito. Ha inizio così il mondo infinito di Ludmilla Spleen, un surreale e carpenteriano inno all’ermetismo claustrofobico, qui alimentato da minimalismi sussurrati, violentati dalla straordinarietà anticonvenzionale di Abito la battaglia, gioco nevrotico di visioni e simboli sonori, ricchi di spigoli in cui sbattere, proprio come accade con le note di Fame. Una folle e radicata sensazione pregna di rabbia, intercalata tra ridondanze e limiti ideali per giocare con sperimentalismi e aderenze all’iper-realtà.
Un innegabile forza espressiva che emerge con naturalezza proprio dalla struttura sonora (chitarra e batteria) in cui un songwriting dalle tinte post-punk si ritrova a dare sfondo a sonorità avvolgenti. Un’apparente nichilismo sonoro, che a tratti sembra avvicinare a sé un certo assolutismo metodico tipico del black metal, senza però mai indugiare o tangere il sangue nero.
L’album, introdotto della straordinarietà interrogativa di Maria Ambra Silvi, autrice della perfetta cover art, sembra voler scalfire la banalità, utilizzando le appuntite armi dello spoken word ( Rose Bud) e ritmiche inattese (Il popolo dei topi ), per trovare poi il proprio apice espressivo prima nella struttura evocativa di Ebani e poi nel citazionismo poetico de La sera del di di festa, in cui distorsioni ossessive schiudono le ultime riserve di un disco d’alta qualità.
Tracklist
1 Emilia
2 Abito la Battaglia
3 Fame
4 Rosebud
5 Il Popolo dei Topi
6 Marte
7 Ebani
8 La Sera del dì di Festa
9 Bilbao