Live a Villa Ada 2011
Il contributo dato alla musica dalle tradizioni africane è di fondamentale importanza per capire l’evoluzione di quest’arte. Senza immergersi nelle origini del suono, delle percussioni e del ritmo, innegabili patrimoni dell’antico continete, basti dire che molti generi musicali non sarebbero quello che sono oggi se certe tradizioni non si fossero tramandate fino ai giorni nostri. Non pensiamo però solo al blues, al gospel o al jazz: la musica africana è trasversale a tante tendenze e non potrebbe essere altrimenti data la vastità del continente e la diversità presenti dal Maghreb al continente sub-sahariano passando per centinaia di sfaccettature. E spesso ci si dimentica di validi artisti che hanno fatto la storia della musica contemporanea influenzando loro colleghi occidentali venuti in seguito.
Due appuntamenti fondamentali per la storia della musica africana si sono succeduti nello spazio di una settimana di fine giugno a Roma Incontra Il Mondo, manifestazione ormai storica che ogni anno ha sede in uno degli spazi verdi più belli di Roma, il parco di Villa Ada. Due live tanto belli ed intensi quanto molto lontani tra di loro, proprio a testimonianza di due espressioni continentali quasi agli antipodi. Il primo dei due concerti ha visto come protagonista un autentico mito della scena jazz, padre fondatore di un filone che ha preso poi il nome di Ethio-Jazz. Si tratta di Mulatu Astatqè, vibrafonista e tastierista attivo dai primi anni 60 il cui stile ha mescolato le classiche basi del jazz con percussioni africane, note di soul-jazz e tracce di psichedelia. Superati i 70 anni di età, Mulatu non si è stancato di sperimentare e nei suoi ultimi due album si è unito prima al gruppo di funk minimale Heliocentrics e poi è tornato a suoni più vicini al jazz elettrico con “Steps Ahead”. E’ proprio questo suo lavoro più recente che dà nome al suo attuale tour, portato avanti insieme alla sua band composta da otto elementi: contrabasso, batteria, percussioni, violoncello, sassofono, tastiera, tromba ed infine il protagonista ad alternarsi tra vibrafoni e tastiere di diversa natura.
Nonostante l’assenza della chitarra elettrica, grazie alla quale i tessuti psichedelici si fondevano al groove jazzato dando vita a capolavori quali Ethiopiques, il repertorio live non ha negato nessun classico, seppur riarrangiato in chiave semiacustica. E’ così quindi che su una base mai forzata ma sempre di grande intensità ritmica, si sono susseguiti assoli notevoli ai fiati, al violoncello ed ovviamente al vibrafono. Pezzi lunghi, grosso spazio all’improvvisazione senza però negare al pubblico la ricorrenza di melodie note anche grazie al vasto utilizzo per la colonna sonora del film Broken Flowers. Da sottolineare il grande lavoro del contrabbassista John Edwards, il cui ritmo incessante e “sporco” è stata la vera e propria ossatura del sound proposto. Un concerto che ha catturato l’attenzione di un pubblico entusiasta ed attento, confermando la statura musicale di Mulatu Astatqè, che per quasi due ore ci ha regalato l’atmosfera originale di un Ethio-Jazz la cui presenza nelle opere di molti artisti a lui futuri è palese ed innegabili.
La seconda serata dedicata all’Africa è stata un modo per ricordare uno dei più grandi personaggi di tutti i tempi, al di là della sua origine e della sua arte. Si tratta di Fela Kuti, sassofonista e musicista nigeriano, ma soprattutto rivoluzionario e figura politica eminente. Fela è scomparso nel 1994 dopo una vita di lotte e di grande musica, portata sul palco con spettacoli di incredibile impatto, laddove l’afrobeat incontrava testi incendiari, vere e proprie poesie di battaglia popolare che perfettamente si legavano ai vari movimenti occidentali per i diritti civili di quegli anni. Attivo prima negli anni 70, accompagnato dal suo gruppo Africa70, e poi negli anni 80, con il nome del gruppo tramutato in Egypt80, ha lasciato l’eredità ai suoi figli Femi e Seun, entrambi musicisti a loro volta. Ma se Femi, il più grande, sta cercando di trovare una strada più personale, proponendosi come autore e compositore, Seun, ormai alle soglie dei trent’anni, alterna pezzi propri a cover del celebre genitore. Ed è stato proprio Seun Kuti il protagonista del concerto del 27 giugno a Villa Ada.
Se la scelta di interpretare parte del repertorio di Fela potrebbe sembrare un’impresa ardua e rischiosa, a giocare a favore di Seun c’è la band che lo accompagna, che per la maggior parte è l’originale Egypt80 del padre, capace quindi di portare sul palco lo stesso spirito e la stessa energia dei vecchi tempi. In ogni caso, gli eventuali scettici sono stati convinti dopo pochi minuti: ben tredici elementi sul palco, ritmo coinvolgente a dir poco, funk che trasuda da tutti i pori, percussioni che si ergono a protagoniste senza però togliere nulla alla potenza dei fiati e dei vocals di Seun. Quest’ultimo ha evidentemente ereditato la stoffa del frontman, riuscendo a dominare il palco in maniera impressionante, con un mix di sfrontatezza ed eleganza e senza lesinare l’energia, visto il suo passaggio dal sax al microfono, da direttore d’orchestra a ballerino. Guidata da un impeccabile sezione ritmica sulla quale svetta la batteria di Ajayi Adebiyi, la band non perde un colpo, concedendosi pochi assoli ma concentrandosi sull’alta tensione del ritmo e mostrando un affiatamento da brivido. Brividi che invadono la pelle dei presenti all’esecuzione dei capisaldi di Fela, su tutti Zombies e Expensive Shit, ma ottime anche le sensazioni per i pezzi originali di Seun quali Rise e You Can Run. Due ore di grande musica e di grande spettacolo, nelle quali non è mancato il modo di riflettere e pensare però ballando e divertendosi. Proprio sulle orme di Fela.