Like a Paperplane “Unfolding Light”, recensione

paperplane.jpg

Nuvolari e magici, proprio come l’immagine del loro monicker. Un piccolo aereo di carta, simbolo di creatività, naturalezza e fantasia, applicata alla voglia di sognare ed al desiderio di volare, spinti da dieci tracce in grado di emozionare, ipnotizzare e coinvolgere.
Dietro all’acquarello della cover art si nascondono quattro fiorentini dediti al mondo post-ambient, arrivato all’atteso full lenght grazie alla mano d’orata della OverDub Recordins, abile nel manovrare i fili di una poetica composizione espressiva chiamata Unfolding Light. Un ‘avvolgente e delicata scia emozionale che, tra auree e surreali sensazioni ( Maybe their guns shoot colors), si intreccia a metodici ricami estatici ( Jupiter Skyline), che finiscono per trascendere una realtà lontana e descrittiva.

Desertiche percezioni di piena libertà, sono definite dall’incipit avvolgente di #8, in grado di fondere l’inquieta ridondanza iniziatica verso aperture emozionali, che vanno oltre alle sensazioni di chiusura iniziali. Il registro, adottato dalla scarnificate pelli, offre il giusto impulso emotivo di una sei corde descrittoria, in grado di uscire e rientrare dal sentiero imposto dagli spazi emotivi.

Le sensazioni post rock si mescolano su intarsi diretti ed easy listening, definendo un gradiente emozionale che conquista sin dal primo impatto. L’impulso chitarristico, non troppo dissimile dall’arte di Mike Moya, sembra, infatti, volersi edulcorare senza eccedere in virtuosismi istintivi, attraverso un attento incrocio estetico, che pone il proprio post rock sulle rive dei Giardini di Mirò.

Nonostante i ragionamenti estetici, che rendono l’album strumentale un vero e proprio punto di arrivo per la musica italiana sui generis, inevitabilmente si vive l’influsso nordico pronto ad emergere tra le note della splendida As i lay watching the clouds drifting over a wheat field, straordinaria magicità emotiva, interposta tra note avvolgenti e nuvolari, che ricordano i If these tree could talk. Un brano che da solo vale l’ascolto di un disco che potrebbe aprire le finestre della coscienza, non solo a chi ama i God is an astronaut e gli Explosion in the sky, ma anche e soprattutto a chi si appresta conoscere l’ipnotico e affascinante mondo post.

Se poi le impostazioni più decise di Bottom of the barrel finiscono per destabilizzare, a riempire gli spazi ariosi sono infine le strutture (forse troppo) aperte di Farewell e la straordinaria visione di Basement, da cui ci si solleva, mediate un attento climax iniziatico, verso un piano espressivo avvolto da note caduche e ammalianti.
Un album dunque che, tra luci ed ombre, racconta sonorità ancora estranee al nostro mainstream, ma in grado di definirsi attorno a cambiamenti agogici, qui incapaci di perdere la bussola artistica.

Tracklist:

1. #8
2. As I lay watching the clouds drifting over a wheat field
3. Memories
4. Maybe their guns shoot colors
5. Basement
6. Bottom of Barrel
7. A brand new start
8. Jupiter Skyline
9. Light, now
10. Farewell