Lightning Bolt – Pearl jam – recensione cd
Quattro anni fa, proprio all’inizio della mia collaborazione con Music-on-tnt, fu pubblicata una mia recensione del precedente disco dei Pearl Jam, “Backspacer”, insieme a quella di un “collega” che, in realtà, scrisse un vero e proprio epitaffio della band. Quello che allora pensavo, invece, e che penso ancora oggi, potrebbe sintetizzarsi con la seguente frase “ogni artista ha il diritto/dovere di evolversi artisticamente, purché resti fedele a sé stesso senza mai scendere di livello qualitativo”.
Dopo aver ascoltato più volte questo “bullone di fulmine” appena uscito dall’alto forno di Eddie Vedder e soci devo dire che la loro maturità come ultima rock band americana a dimensione planetaria (i REM, ahi noi, purtroppo ci hanno abbandonato) si è ulteriormente consolidata e perfezionata. Intanto il frontman ne rappresenta sempre di più l’anima, fungendo da leader indiscusso con il suo carisma straripante, ma nello stesso tempo è sempre attento a non trasformare i Jam in una “one man band”, lasciando che ogni membro possa esprimere il meglio di sé.
Tornando al disco, intanto, potremmo descriverlo come se stessimo parlando del solo vinile. Mai come in questo caso, in effetti, i due lati sono stati nettamente distinti, privilegiando nella prima parte il loro spirito più scatenato e riservando per la seconda la maggior parte degli episodi più intimi e folkeggianti.
Procedendo in maniera didascalica, direi che i tre pezzi di apertura sono un inno, riveduto e corretto alla luce di una ventennale carriera, al periodo grunge degli esordi. Si inizia con una “Getaway” tirata a lucido e senza fronzoli, si termina con “Father’s son” e nel mezzo viene presentato il primo caricatissimo singolo “Mind your manners”. Il testo è pieno di domande sulla vita e sull’esistenza o meno di Dio (Self-realized and metaphysically redeem May not live another life May not solve a mystery Right around the corner Could be bigger than ourselves We could will it to the sky Or we could something else) ma, come forse è giusto che sia, mancano le risposte, lasciate evidentemente alla fede di ognuno di noi.
La cavalcata rock di cui sopra trova una meritata sosta in “Sirens” (l’altro singolo pubblicato), sorta di power ballad elettro acustica che parla di un amore finito. Si aggiunge alla già ricca miniera d’oro del genere, disseminata negli anni nella discografia dei Pearl Jam. La title track da parte sua, coerentemente col proprio nome, è basata su un ritmo che progressivamente più rapido fino ad esplodere presto, ricordando a tutti di che pasta sono fatti McCready, Gossard e Ament quando sono ben ispirati. Roba sopraffina.
La prima perla del disco a mio avviso è “Pendulum”. Calma placida e voce di Vedder, se possible, ancor più profonda del solito con un piglio generale differente da tutto ciò che fino ad ora hanno pubblicato i “ragazzi”. Praticamente già un classico.
Passando per la più radiofonica “Swallowed all” ci imbattiamo presto nel secondo tris d’assi di ballate a chiusura del disco, quasi a fare da contraltare a quello assai più potente dell’inizio. “Sleeping by my self” recupera l’omonimo e stupendo brano di “Ukulele songs”, cd solista del cantante, e rende l’idea di quanto possano incidere i suoi compagni a livello di arrangiamenti. Eccezionale. Da parte sua la luna crescente di “Yellow moon” illumina a giorno la strada che ci porta alla chiusura al fulmicotone estetico di “Future days”. Quest’ultima, arricchita da un inedito violino, è forse la loro più bella canzone d’amore di sempre (la “lotta” è con “Thumbing my way”) ed è assai verosimile che quella sua luce resterà intramontabile.
Detto questo, posso dire in chiusura che se al primo ascolto “Lightning bolt” potrà sembrarvi un po’ lontano da dischi giustamente super incensati come “Ten”, “Vitalogy” o “No code”, tuttavia in molte sue canzoni potreste scorgerne con piacere qualche gustosa traccia, seppur inserita in un contesto che di quegli stessi dischi è la naturale, forse doverosa, evoluzione.
Granitico.