Lightless Moor “The poem-Crying my grief to feeble dawn”, recensione
L’oscuro mondo patinato del Ghotic, da oggi, ospita negli antri del suo castello una nuova band italiana. Si chiamano Lightless moor ed arrivano dalla Sardigna con il loro debut The poem-Crying my grief to feeble dawn.
L’esordio discografico, battezzato dalla Worm Hole Death, chiarisce sin dalle prime battute la classificazione stilistica, assestabile tra il ghotic più classico e sensibili velature reinterpretative. La doppia vocalità, croce e delizia del genere, è qui alimentata dal controllato growl di Federico Mura e dalla magnificenza vocale della bella Ilaria Falchi, il cui equilibrio sonoro è ben soppesato rispetto alle onde rudi della linea maschile.
Il sestetto, tecnicamente ineccepibile, si offre ad un mercato gotico molto vivo e seguito, mostrandone i limiti espressivi e le potenzialità narrative. Infatti, superando le ridondanze stilistiche che il genere porta con sé, è innegabile come la distribuzione degli stereotipi sia oramai elemento basilare del genere. Nonostante però le caratteristiche imprescindibili delle stilistiche sui generis, la band ha il merito di attraversare in maniera continuativa e coraggiosa continui cambi direzionali. Ascoltando il disco, infatti, emergono idee e qualità, poste al servizio di un vero e proprio concept basato sui meandri creativi di una poetessa alle prese con la propria narrazione, immersa tra le pieghe della paura, della follia e del dolore.
Un disco da ascoltare (preferibilmente) nel suo insieme, proprio come un testo filmico, che se interrotto nel suo flusso narrativo, finisce per perdere concretezza. Il disco si sviluppa partendo dall’incipit claustrofobico (The lyrics of the journey) sino alla sua oscura chiusura incantata (Dark side of our soluls), attraversando drammaturgia di immediato impatto (Arabian nights) e dolcezza emozionale (Cento Respiri(Slave)). A questa tipica impostazione vengono poi applicate le funzionali tastiere di Edoardo Fanni e le diversificate venature sonore, intercalate tra cambiamenti e sguardi all’indietro (Chained to a dismal chant)
Un disco, dunque, che appare deliziosamente inquinato da influenze differenziate, atte a definire un percorso di allontanamento dal deja ecu, nel tentativo di ristabilire un equilibrio tra le ristrettezze del genere e uno sguardo più esteso. Una sfida interessante che restituisce un opera complessa e molto curata in ogni suo aspetto.
Tracklist:
1. The Lyrics of the Journey
2. Chained to a Dismal Chant
3. Arabin Nights
4. Cento Respiri (Slave)
5. Overwhelming Darkness
6. Sacrifice
7. The Lover and the Forest
8. Dark Side of Our Souls