Ligeti Project – Secondo volume
György Ligeti (1923-2006) è forse l’ultimo dei grandi compositori attivi nella seconda metà del Novecento che, ancora viventi, abbiano raccolto approvazioni pressoché unanimi.
Nel 2003, la ricorrenza del suo ottantesimo compleanno è stata ricordata un po’ in tutta l’Europa, compresa Milano, dove nell’autunno s’è svolta una serie di concerti cui ha partecipato, tra gli altri, il quartetto Arditti che ha eseguito i suoi due quartetti per archi (ricordo con particolare intensità questo concerto, avendovi assistito seduto in seconda fila a non più di un paio di metri di distanza dagli esecutori).
Nato nel 1923 in Transilvania, Ligeti fu, dal 1945 al 1949, allievo dell’accademia F.Liszt di Budapest dove, ottenuto il diploma, insegnò fino al 1956 quando, a trentatre anni, fuggì dall’Ungheria invasa dall’armata sovietica. Dopo la fuga dall’Ungheria oppressa, si stabilì a Colonia, dove iniziò a lavorare con Stockhausen ed altri allo “Studio di Musica Elettronica”.
Negli anni sessanta ha insegnato alla Scuola superiore di musica di Stoccolma e nel 1972 ha ottenuto una cattedra di composizione alla Scuola superiore di musica di Amburgo.
Tra le sue composizioni, particolarmente importanti, oltre a quelle contenute in questo disco, i concerti (per piano e orchestra, per violoncello e orchestra, per violino e orchestra) il Requiem, i quartetti, gli studi per pianoforte e l’opera “Le Grand Macabre” del 1977.
Questo disco, secondo volume della serie “The Ligeti Project” destinata a raccogliere l’intera opera del compositore, contiene (con una eccezione) i lavori per grande orchestra composti in occidente: Apparitions del 1958/59 e Atmosphères del 1961, lo splendido Lontano, del 1967, San Francisco Poliphony del 1973–74 e l’interessante Concert Românesc scritto nel 1951 in Romania, all’epoca dei suoi studi sulla musica popolare rumena quando, come dice nell’intervista inserita nel booklet “dal 1949, a 26 anni, ho imparato presso l’istituto del folklore di Bucarest a trascrivere a orecchio, a partire da rulli a cera, le melodie popolari. Molte di esse sono rimaste incise nella mia memoria, così composi, nel 1951 il Concert Românesc”.
Ad esclusione del Concert Românesc, si tratta di lavori dalle sonorità particolari in cui l’orchestra è quasi irriconoscibile. Molto interessanti Apparitions ed Atmosphères, entrambi basati sull’idea dell’annullamento del ritmo, ma dove, mentre il primo vede ancora alla presenza della percussione, il secondo rinuncia ad ogni tipo di ritmicità percettibile. La scrittura di questo brano è estremamente complessa: ottantanove musicisti, ciascuno con la propria parte meticolosamente delineata, ma di cui non deve essere percepito altro che il risultato globale: una “coltre sonora” che trascorre davanti allo spettatore come una superficie liquida in cui avvengono solo variazioni nel timbro e nel volume, senza che vi sia alcun ritmo a cui fare riferimento.
Lontano è opera del 1967, forse la più interessante di tutto il cd, dove Ligeti continua nello sviluppo del concetto di immobilità già esplorato con le precedenti composizioni: Ligeti stesso parla di “coltre sonora”. La musica non va da nessuna parte e l’altezza e la durata del suono mostrano avere importanza secondaria rispetto alla dinamica. Microscopici avvenimenti sonori colpiscono l’ascoltatore che si aggrappa ad alcuni “pilastri” lasciati galleggiare dal compositore.
La San Francisco Poliphony fu scritta nel 1973–74 ed eseguita per la prima volta l’8 gennaio 1975 per la direzione di Seiji Ozawa ed è una composizione che presenta contrasti più pronunciati delle precedenti.
L’esecuzione, affidata ai Berliner Philarmoniker guidati da Jonathan Nott è quanto di meglio si potrebbe desiderare. Anche se mai come in questi casi la mancanza di termini di paragone si fa sentire, non credo che per un’orchestra sia facile ottenere suoni di questa liquidità senza potersi appoggiare ad alcun elemento ritmico e i Berliner riescono ad ottenere sonorità davvero sconvolgenti.
Difficile anche desiderare di meglio anche per quanto riguarda la qualità di registrazione, bassi profondissimi, grande dinamica, difficile parlare di ricostruzione spaziale… il perché lo capirà chi ascolterà il disco.