Levania “Parasynthesis”, recensione

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Partiamo dal presupposto che il goth non rappresenta certo il mio genere di riferimento. Tastiere invasive e sonorità proto malinconiche (a mio avviso) sono spesso considerabili un ibrido ridondante innestato tra le reali oscurità malvagie del black e il main heavy di stampo tecnico. Nonostante tutto però il gothic metal ha da sempre ottenuto con la sua arte lirica un buon riscontro anche sui detrattori del genere. Sarebbe fuori luogo non valutare come il songwriting poetico e letterario è da sempre l’arma migliore del genere, assieme all’eterea utilizzazione della vocalità femminea che, come nel caso di Ligeia, offre un’inquieta orma espositiva, assestabile, con un certo grado di naturalezza, tra approcci sinfonici e narrazione cupa di stampo ottocentesco.

Nel tentativo (forse voluto) di inseguire i clichè del genere, gli esordienti Levania trovano nella voce della loro frontwomen una piccola punta di diamante, lucidata ancor con maggior vigore grazie all’alternasi di screaming (d’impatto) e growling (che può apparire poco adeguato, soprattutto per chi ha orecchie abituate ai gutturali vortici dei Visceral disgorge).

Il disco di per sé risulta piacevole e definisce senza troppi dubbi interessanti orizzonti futuri per una band di prospettiva, grazie ad un opera da cui emergono ottime idee non del tutto sfruttate e marcatamente penalizzate da una mancanza di profondità sonora, che si dirada al solo passaggio dell’incantevole vocalità narrativa.

L’impatto appare infatti subito di buon livello, attraverso i fulcri narrativi di Midnight of silence, che pur non essendo annoverabile tra le migliori track del disco, offre un ottimo drum set, figlio dell’oscurità anni ’80. I cambi direzionali si appoggiano prima su di un’usuale tastiera per poi posizionarsi sul battere macchiato dalla nera filastrocca. La via viene immediatamente raddrizzata dai tratti neri di The narrow way of Juliet e dall’epicità di Eroica, imputabile, con i suoi madrigali contemporanei, tra le migliori performance della band. Il sapore viking, qui ben amalgamato alla magicità della numerologia, anticipa di poco l’ottima Natural emotion, in cui l’enclave latina acuisce il romanticismo narrativo, rafforzato da una ragionata dicotomia linguistico-espressiva, che si ben confà alle nubi tenebrose dietro alle quali vive la crasi sintattica di Parasinthesys.
L’album infatti rappresenta un continuo alternarsi tra alba e tramonto, giorno e notte, epicità e classicismo, trovando il suo apice artistico con la suite Agharti tanto pretenziosa quanto deliziosa apertura sonora di un mondo ricreato attorno a ispirazioni letterarie, che trovano compimento nel tecnicismo di Sibyl of the dark, chiusura di un disco che, tra alterne fortune, si offre al suo pubblico vestito di tutto ciò che ci si può attendere dal genere di riferimento.

1. Midnight of Silence- 05:22
2. Eroica -04:08
3. Natural Motion- 03:45
4. The Narrow Way of Juliet- 05:37
5. Basteth’s Kiss- 05:32
6. Agharti 1- 01:13
7. Agharti 2- 03:38
8. Agharti 3- 06:21
9. Carthago Nova- 05:20
10. Sibyl of the Dark-04:47