Le Orme – Collage recensione
Per il ciclo: la buona musica non muore mai.
Non è un azzardo dire che ogni epoca sia stata segnata da un particolare genere musicale. Ovviamente, non si fa alcun riferimento al passato classico, ma se si guarda con più attenzione si noterà che, in quel caso, non fu il genere a scrivere la storia, ma i grandi nomi che, uno per uno, portarono le giuste innovazioni che modificarono il senso del voler fare musica. Tutto questo giunge fino agli anni 60, dove un “quartetto” fece notare al mondo l’evoluzione del suono. Poi, negli anni 70, ecco arrivare il genere: il progressive rock. Il parto viene dal passato, ma si distanzia da esso ricercando nuove sonorità sui fiati e sulle tastiere, nuovi orizzonti di sperimentazione e nuovi testi più elaborati. Nel campo internazionale, molti tennero alta la bandiera del progressive, in Italia invece, nonostante il campo fosse molto producente, ci furono tre band che vennero considerate le numero uno nel settore: Premiata Forneria Marconi,Banco Del Mutuo Soccorso e Le Orme.
Grandi musicisti e conoscitori di musica classica, Le Orme furono i legittimi genitori del progressive italiano, grazie a dei lavori che sapevano guardare ben oltre l’emisfero della commercialità. Primo tra tutti, il cd d’esordio “Ad Gloriam”, il quale non vendette molto per il suo gusto “eccessivamente” particolare; in seguito ci fu la raccolta, non autorizzata, “L’Aurora Delle Orme”, raccolta di alcuni brani della band ( tra cui il singolo “Irene” che decretò la nascita del progressive italiano ). Infine, ecco arrivare il capolavoro: “Collage”, un album di sette tracce che affronta tematiche non facili, usando la delicatezza di un canto velato di tristezza.
“Collage”, grazie ad un viaggio fatto da Tony Pagliuca a Londra per conoscere la scena del pop internazionale, è un album che vuole prendersi le distanze dal beat. Infatti, al momento dell’incisione, Le Orme sprigionarono tutte le loro idee creando qualcosa di nuovo che avesse permesso al pubblico di vedere che cosa era capace di fare un musicista che si poteva definire tale. La prima traccia ( “Collage” ) ne fu la conseguenza: un pezzo strumentale che assomiglia ad una marcia; può sembrare un pezzo sciocco e ripetitivo, ma il fatto che sia presente una sezione clavicembalistica proveniente da una sonata di Domenico Scarlatti abbatte ogni tipo di considerazione troppo “impulsiva”. Si continua attraverso il brano migliore dell’album, il quale affronta il tema della prostituzione ( “Era Inverno” ), arrivando poi ad un mix di musica e parole ( “Cemento Armato” ). Non si capisce bene, ma forse lo si nota per l’utilizzo incredibile della batteria e per il senso d’immensità che dona il testo, sul perché il brano che identifica “Collage” sia “Sguardo Verso Il Cielo”, immediatamente collegato con “Evasione Totale”, altro pezzo strumentale diverso dal resto degli altri brani. In conclusione abbiamo “Immagini” e la dolcissima “Morte Di Un Fiore”.
Il disco sembra rappresentare un viaggio verso la notorietà delle Orme, tra tracce lunghe sette minuti ( “Cemento Armato” e “Evasione Totale” ) e ricordi del passato affrontato con malinconia, ma anche con la voglia di guardare avanti verso un futuro che avrà ancora molto da regalare alle orecchie interessate del progressive, tra cui un album che racchiuderà un intero universo ( Felona & Sorona ).
Da cinque che erano, Le Orme in “Collage” sono tre ( come si può ben vedere dalla copertina ): Aldo Tagliapietra ( voce, basso e chitarra acustica ), Michi Dei Rossi ( batteria e percussioni ) e Antonio Pagliuca ( organo Hammond e pianoforte elettrico ). Cosa manca in questa formazione? Probabilmente una chitarra solistica, anche se, nel cd, non se ne sente la mancanza, poiché i tre se la sono cavata benissimo creando un album forte e che, commercialmente parlando, non riscontrò ( e non incontrerebbe oggi ) gravi difficoltà.
Pulito il suono degli strumenti e molto particolari gli effetti elettronici ( “Evasione Totale” ), che sembrano portare la band verso altri confini: se volevano allontanarsi dal beat per avvicinarsi al pop internazionale, pare che, invece, si siano spinti un po’ troppo lontano ricercando una lieve sperimentazione sonora che anticiperà quello che verrà in seguito.
Finchè ci sarà “Collage”, il progressive italiano avrà modo di essere ricordato. Portare quella “corrente” in giro per il mondo a qualcosa è servito, poiché molte band sono ancora attive, ma principalmente serve per avere un’immagine di come era il mondo degli anni 70: un’epoca di suoni e di musicisti estremamente colti.
Una cosa del genere difficilmente verrà ripetuta.