Le Jardin des Bruits” Assoluzione”, recensione
Rock. Sì, trattasi di rock; di quel rock vitale e privo di scale di grigio. Un rock senza mezze misure, un rock che piace o non piace e, dico il vero… quando affermo in maniera scortese che, personalmente, non mi ha convinto nell’immediato. È stato infatti necessario un ascolto attentivo e multiplo per riuscire a percepire le celate sfumature di questo nuovo disco della Red Cat Promotion. A convincermi, oltre alla cieca fiducia nei confronti della label fiorentina, è stato l’ascolto di Salvami, in cui le reminiscenze new wave da “trilogia del potere†sono riuscite a portarmi in una perduta bolla temporale, in cui l’arte della bassline, già viva nell’incipit, mostra il reale cuore battente di questo ensemble.
Così… Una volta “assolto†il combo, mi sono ritrovato a rimestare le sensazioni vintage di una riuscita Scatola di una stelle, poetica apertura verso arie leggiadre, rese acquerelli attraverso gli archi danzanti, qui pronti a ridefinire un (non) concept introspettivo, intercalato tra ateismo e post cattolicesimo. Infatti, proprio dietro ad una cover art, che a molti apparirà indigesta, si celano dissacranti tracce come Gesù di maggio, esempio eclettico di lettura multilivello. Un insieme di sguardi stratificati, proprio come le partiture apparentemente scarne di un viatico che si fa minimal-chic in Wrong song. La traccia, resa magica e sognante dalla vocalità di Elisa Lepri, conferma un sentiero poli-lineare in cui vivono e sopravvivono armonie, idee e pochi compromessi. La composizione, di certo tra gli episodi più interessanti, si pone linea con l’ottima titletrack, in cui venature rumoristiche si intrecciano al profondo calore del contrabbasso, magica apertura verso oniriche reiterazioni sonore. Il brano, che da solo racconta un intero universo, mostra una qualità espressiva che si perde in Mentre fuori il giorno muore, per poi ritrovarsi tra le note di Assoluzione, in cui l’introduttivo spoken word anticipa i solchi vintage di Impressioni di settembre, a tratti vicina al modus operandi de Il lungo addio, qui (ovviamente) privato delle desolanti sensazioni lo-fi, tipiche del mondo di Fabrizio Testa.
Insomma un disco libero e imperfetto, quindi vivo e creativo.