Le club noire “Le club noire”, recensione
Giovani, leggeri e portatori sani di un look alternative-milanese. Si chiamano Le club noire e a quanto confessano nel loro official web site, devono il nome allo stile filmico di Alfred Hitchcock. Offrono un pop snello e fresco che però convince solo a tratti, come la scelta stilistica ispirata all’astrattismo geometrico che, a mio avviso, non ricalca pienamente lo sviluppo musicale del quartetto, nonostante la traccia iniziatica (La croce nera), dedita ad un allegro pop rock semplice e piacevole.
Il corpo del disco offre 8 tracce (ed una stranita bonus track), assestate attraverso un percorso ciclotimico che, tra alti e bassi, definisce i due lati della giovane band. Gradevole appare l’easyrock di Stai con me stanotte con il suo groove amabile, ma non molto curato dal punto di vista del songwriting, che “ha da maturare”, attorno alle buone idee che i quattro riescono ad esternare su spazi musicali meglio definiti di Storia d’amore, da cui trapela un certo tipo di Negrita.
Il meglio del combo lombardo esce nelle ritmiche calme e acquetate della rock ballad Chiudo gli occhi, che nella sua prima parte colpisce il giusto centro, anche grazie ad una linea di cantato che trova la sua quadratura…e poco importa se la back voice edulcora risulta sovraccaricare in maniera eccessiva la struttura portante. Se poi in Follia emerge un (ahimè) poco sviluppato dialogo iniziatico tra il piano di Lord Byron e la chitarra di Veronal, in Non so far di meglio emerge un anima compositiva più matura, attraverso linee di basso ben definite attorno ad un blando climax sonoro, che ci trasporta a cavallo di un chorus che ancora una volta si mostra interessante, come le buone potenzialità di una band forse ancor troppo intrappolata nell’ovvio.
Difficoltoso ed erroneo sarebbe chiudere le porte al fertile sogno che portano con sé questi ragazzi, ma altrettanto difficile sarebbe gridare di stupore per un disco che si bilancia tra lodi ed infamia.
Sarà necessario attendere l’opera seconda.